Teatro

Il successo del Corsaro a Vicenza

Il successo del Corsaro a Vicenza

Dimenticate “Le corsaire” di Jules Mazilier, quello che nel 1856 battezzò coreograficamente la partitura di Alphonse Adam all’Opéra di Parigi, o la storica versione di Marius Petipa per il Balletto Imperiale di San Pietroburgo. Dimenticatevi pure quelle più vicine a noi di Pyotr Gusev, di Konstantin Sergeyev, di Vakhtang Chabukiani, di Yuri Grigorovich, e mettete pure da parte la recentissima ricostruzione filologica di Youri Burlaka et Igor Ratmanski, volta a recuperare al Bolshoi un Oriente che piu esotico e ‘glamour’ di così non si può. D’ora in poi  a mio parere “Le corsaire” sarà quello di Kader Belarbi: il poema di Byron, che ha ispirato una schiera di celebri coreografi del passato e del presente ha trovato ora la sua versione coreografica del XXI° secolo.
Passato dal ruolo di acclamata étoile dell’Opèra parigina, sulle cui tavole ha piroettato dal 1980 al 2008, a quello di «directeur de la danse» presso il Théâtre du Capitole di Tolosa - la seconda compagnia per importanza in terra di Francia - l’artista franco-algerino vi ha firmato la sua prima stagione di danza nel 2012-13, con buona accoglienza sia da parte del pubblico, sia della critica specializzata (Le Figaro ha scritto:  «Le Corsaire qu' il vient de signer pour son Ballet du Capitole de Toulouse est tout simplement magnifique: un miracle en deux actes entièrement façonné dans la poésie de l’Orient, de l’émotion et du mouvement»). Punta di diamante del suo primo cartellone è stata dunque la rilettura di uno dei più famosi balletti d’ogni tempo ; rilettura in ogni senso approfondita e impegnativa, ad iniziare dal riuscito tentativo di eliminarne il ben noto vizio d’origine : cioè la fumosità e l’incoerenza del sin troppo ricco libretto originale, pecca mai sanata nelle varie versioni che si sono succedute nel tempo. Per questo Belarbi l’ha ripensato in maniera profonda anche se non proprio radicale, rivedendone nel contempo anche la struttura musicale: sovente infatti, proprio per questo motivo, si rinunciava ad una rappresentazione completa preferendo eseguirne una selezione con scene più o meno raccordate, se non addirittura prsentandone solo i tableaux principali (come Le Jardin Animé, il Pas d'Esclave, il Grand Pas de Trois des Odalisques, l’arcinoto Pas de Deux); un po’ come capita con “Le nozze d’Aurora”, cioè l’epilogo da “La bella addormentata” di Čajkovskij che viene spesso rappresentato da solo.


Intervistato in concomitanza della prima presentazione della sua ultima creazione a, nel maggio 2013, il responsabile del Ballet du Capitole ha voluto precisare che il suo intento era infatti quello di riorganizzare l’insieme sfrondandolo del superfluo, mantenendo però intatto tutto il nucleo ed il fascino della vicenda, così che alla fine di Byron restasse solo il profumo. «j'ai réécrit le livret pour le rendre plus lisible et construire une intrigue à laquelle chacun puisse se rattacher. Ho riscritto il libretto per renderlo più comprensibile, e costruire un intrigo che potesse maggiormente appassionare. Dans cette histoire qui semble si confuse, j'ai introduit le rôle de la Favorite du sultan», dit il. In questa storia che sembra così confusa, ho introdotto il ruolo della Favorita del  Sultano. E’ lei che tiene le fila della storia, facendo sì che il corsaro Conrad seduca la Bella Schiava, per non essere spodestata dal ruolo di primadonna dell’harem" ha chiarito, affermando poi che l’intento di partenza era quello di costruire una storia «vista come in un film, però raccontata con il vocabolario e l’estetica del balletto classico». Così  lavorando a lungo, fianco a fianco «con David Coleman (il suo collaboratore musicale, n.d.r.) abbiamo anche rielaborato la partitura, tornando più vicino ad Adam con la rimozione di Drigo, Minkus, Pugni, ma inserendo al loro posto Sibelius, Massenet, Arenskij, per ottenere subito il colore giusto per ogni scena. Si la musique dit les choses, les danseurs n'ont plus besoin de piailler dessus», dit Kader.Se la musica sa raccontare, i ballerini non hanno bisogno di affannarsi sopra ».  Per inciso, nei due atti della versione Belarbi (al posto degli originali tre) i tableaux coreografici si sono ridotti a sei, cioè “La piazza del mercato” dove avviene l’incontro tra tutti i personaggi; “L’Harem”, dove il Sultano corteggia inutilmente, tra le sue odalische, l’ultimo acquisto; “Il Palazzo”, dove avvengono gli avvenimenti centrali: le danze delle Almées e dei Dervisci, quella della Bella Schiava e del Sultano, la rapinosa violenza che questi opera su quella, l’apparizione di Conrad intrufolato dalla Favorita,  la consola, la loro inevitabile scoperta, l’arresto del giovane e la condanna a morte della Schiava. Nell’atto II, “Il sogno” con le visioni febbrili di Conrad, e la sua liberazione da parte dell’amata e del suo Socio che però viene catturato; la colorata pagine de “Il covo dei corsari”, dove gli amanti trovano rifugio, ma dove sono raggiunti e sorpresi dai giannizzeri del Sultano che decreta la morte dei due; ed infine “Il Naufragio”, che descrive gli ultimi aneliti d’amore e la loro struggente fine in balia d’una marea che sale inesorabile. Manca dunque il tradizionale happy end a cui s’era abituati, a favore però della pagina forse più bella – e comunque più intensa - dell’intera creazione del coreografo franco-algerino.


Accolto come già detto con notevole favore in Francia, ora “Le corsaire” sta vivendo una meritatissima tournée per l’Europa, con tappa per l’Italia sul palcoscenico del benemerito Teatro Comunale di Vicenza. Qui l’abbiamo apprezzato in una delle due recite in programma a fine febbraio, ed ecco in sintesi il nostro giudizio diretto.
Scenografia ridotta all’essenziale ma potente, messa lì da Sylvie Olivé a suggerire ogni ambientazione  senza ingombrare lo spazio, e costruita con materiali leggerissimi (archi e colonne di stoffa trasparente, veli appesi a suggerire il soffio del vento, due candidi scogli/caverna per il covo dei pirati); luci manovrate da Marion Hewlett con grande accortezza; esotici costumi di Olivier Bériot che evocano a perfezione un colorato Oriente senza strafare, e che lasciano trasparire i fasci muscolari: questo l’apparato di base. Per il resto, Kader Belarbi opera con squisita intelligenza ed estrema sensibilità, sia come regista che come coreografo, organizzando una narrazione dal respiro epico e fantastico al tempo stesso, con un sapiente  e moderno uso della tecnica classica. E imposta tutte le sue coreografie soprattutto sul movimento, senza tuttavia mai sovraccaricare la componente atletica; per lui è proprio il movimento, più che la musica, a raccontare con massima chiarezza la storia, ad esaltare i contrasti fisici, ad individuare i caratteri: la spavalderia acrobatica del Corsaro, la verticalità imponente del Sultano, la ieratica perfidia della Favorita, la melliflua volgarità del Mercante; e naturalmente la ritrosia, le lacrime e la languidezza della Bella Schiava, nonché la struggente passione dei due giovani. E, manco a dirlo, anche tutti  i momenti di massa sono affrontati e risolti con estremo garbo e ricercatezz, siano essi la folla del mercato di Bagdad, le danze delle odalische e dei dervisci, o i funambolici divertimenti dei pirati.


Va da sé che, solo a condizione di disporre di un ensamble di così alto livello collettivo, l’impresa pensata sulla carta riesce a trovare piena corrispondenza in scena: e non tanto perché i solisti visti a Vicenza sono di grande classe (soprattutto gli eccezionali Tatyana Ten, la Bella Schiava, e Davit Galstyan, il Corsaro; senza dimenticare Valerio Mangianti, il Sultano; Pascale Saurel, la Favorita; Shizen Kazama, il Socio; Juliana Bastos e Julie Loria, le due schiave; Petros Chrkhoyan, il Mercante); ma sopra tutto perché l’intero organico del Ballet du Capitole, forte di oltre trenta danzatori, mette in campo una padronanza tecnica assoluta ed una espressività interpretativa invidiabile, con pochi eguali in Europa.
Prossimo appuntamento di grande rilievo nella sala vicentina a fine maggio, con il Ballet du Grand Théâtre de Genève: in locandina il “Sogno di una notte di mezzaestate” su musiche di B. Britten, coreografie di  Michel Kelemenis.