Teatro

"Il teatro cerca casa": Mari, dialettica e coscienza

"Il teatro cerca casa": Mari, dialettica e coscienza

Nell’azione teatrale, il dialogo è un soggetto a sé stante. Spesso, diventa un momento introspettivo, tra dilatazione dei tempi e prese di posizione dei personaggi. Sottofondo portante di “Mari”, spettacolo di Tino Caspanello con Cinzia Muscolino, andato in scena, a Napoli il 24, 25 e 26 maggio, è un flusso dialogato di coscienze, sottolineato dal moto perpetuo delle onde e accompagnato da quei silenzi densi che possono crearsi solo tra uomo e donna.

La pièce, vincitrice del Premio Riccione 2003, è stata rappresentata in diverse residenze private napoletane nell’ambito del programma 2014 della rassegna “Il teatro cerca casa”, un progetto nato da un’idea di Manlio Santanelli che ha messo a disposizione la sua stessa abitazione, e curato da Ileana Bonadies e Livia Coletta. Un modo di fruire lo spettacolo nel quale il pubblico, in stretta continuità con il palco, entra nello spazio della rappresentazione, quasi come un artefice magico. E “Mari”, con il suo linguaggio intimo, costruito su un gioco di equilibri labili e tempi sospesi, ben si presta a questo tipo di performance.

Gli sguardi che non si incrociano e le parole taciute, i sussurri e gli impeti improvvisi ma subito smorzati, i gesti di affetto viscerale e il ritmo onirico dei flutti, la luce della lanterna e l’oscurità del mare, sono gli elementi che costituiscono la narrazione. Un uomo e una donna si incontrano su una riva invisibile, formata da parole. A piedi nudi, si incontrano sulle sponde di un sogno, lontano dal rumore delle ore quotidiane. Lui, temendo la solitudine, vuole rimanere solo, lei vuole capire i suoi silenzi, avendo paura di ciò che è nascosto. Le parti dividono equamente i punti di forza e le fobie, non c’è un punto di vista che prevale ed emerge un sentire comune, nessuno può fare a meno della presenza dell’altro. Lei canta e lui ascolta; mentre lui dorme, lei veglia sui suoi sogni. Il contatto è quasi intangibile, e tuttavia fremente. Il percorso per conoscersi è lungo e rischioso, ritmato e impegnativo, seguendo schemi sempre diversi. Il mare, che nella letteratura è un topos stratificato, qui diventa simbolo del corso naturale degli eventi, afferma costantemente la sua presenza, un deus ex machina che non divide le cose ma unisce. I due, allora, inginocchiati sulla riva, toccano l’acqua salata, con le mani intrecciate. Finalmente, si guardano, e comunicano non più solo con le parole “che servono a riempire la bocca”, ma attraverso quella corrente immateriale di pensieri e sensazioni che lega gli amanti.

All’interno di un tempo immobile, però, si nasconde il fermento vitale. L’eternità non è un momento vuoto, perché il teatro è impegno e non si può rinunciare alla concretezza del mondo reale. Allora, ecco l’irrompere della parlata messinese che, tra i dialetti siciliani, è il più vicino all’italiano e adatto alla comprensione, come ha spiegato l’attore-regista Caspanello. La pièce è frutto di un lungo percorso di ricerca della compagnia di Messina Teatro Pubblico Incanto, un progetto drammaturgico che ha nella sperimentazione linguistica il punto focale.  La lingua, con la sua musicalità ruvida, ci riporta al luogo preciso: in riva a quel mare un uomo e una donna parlano, scambiando battute e riferendosi alla vita coniugale, si informano sul prezzo dei tranci di pesce spada e sull’umidità nelle ossa. I modi di dire dialettali hanno una lunga tradizione di allegorie e realismi, ed anche quelli più lontani dall’uso comune riescono a esprimere concetti astratti, con l’immediatezza che la lingua ufficiale e standardizzata ha, ormai, perso.