Era evidente che quest'edizione del Napoli Teatro Festival avrebbe portato una sorta di rimescolamento di carte, in cui sarebbe stata fondamentale una difficile identificazione di "buoni" e "cattivi". Siamo il paese dei Guelfi e dei Ghibellini, di Coppi e Bartali, di Don Camillo e Peppone, del "chi non è con me è contro di me". E così abbiamo dovuto assistere, ancora una volta, ad un valzer patetico di colpi bassi, di dichiarazioni dei redditi sbandierate a gran voce, di bilanci passati e presenti che, cose che accadono nel nostro Bel paese, nonostante la loro ufficialità sono sempre da ritenere opinabili.
Il sistema che regola la cultura in Italia è malato, lo è SEMPRE stato: la politica dei partiti e delle poltrone si è impossessata anche del pensiero, della conoscenza, del creare. Alla luce di questa lotta senza quartiere, Luca De Fusco è diventato una sorta di capro espiatorio per i moralisti dell'informazione che proteggevano, fino ad ieri, le malefatte di dirigenti che ora si indignano nei loro ritiri dorati, così come Renato Quaglia, che ha sapientemente operato per la cultura e la costruzione di un festival ottenendo che raggiungesse in soli tre anni importanza internazionale, ora è spazzato via perché non più aderente al nuovo corso filo-governativo. È giusto che sia così? È giusto che i giornali non abbiano più spazio per la cultura perché devono fare i conti in tasca a questo o a quel direttore artistico, spesso su basi partigiane e discutibili? È giusto che nella conferenza stampa consuntiva di un festival non si dedichi un secondo al bilancio artistico ma che si parli di soldi? È giusto che un critico teatrale oramai debba essere più informato sulla partita doppia che sulla storia del teatro? Io credo di no, e resto ad aspettare, fiducioso, che questo festival, nella coda di settembre ed ottobre, ci regali emozioni come è stato per lo splendido "The Tempest" della compagnia russa che ha annullato l'insopportabile calura di un Teatro Mercadante inaccettabilemente privo di aria condizionata a luglio, com'è stato per l'eccezionale prova attoriale di Mascia Musy ne "La Tana" di Kafka diretta da Francesco Saponaro, che ha fatto vincere al sottoscritto la ritrosia nello scendere nelle claustrofobiche catacombe di San Gennaro, com'è stato per un piccolo ma sorprendente spettacolo come "Said el feliz" che ci ha fatto conoscere Thomas Germaine, uno straordinario attore francese che avrebbe tanto da insegnare, per talento e preparazione, a tanti "grandi" nomi del teatro italiano, sempre più corrotto da meccaniche che non appartengono all'arte. Queste tre e tante altre belle emozioni (ma non sono mancate, ad onor del vero, anche le consuete delusioni), fanno sì che si continui ad amare il teatro, e che si speri che possa essere liberato da veleni politici, da corruzioni e da interessi privati, e possa rivivere di assoluto impulso artistico. E se questa non è utopia…
Teatro