Muti trasmette la propria esperienza artistica e musicale alle nuove leve della direzione d'orchestra, nell'ambito della prima edizione della sua Italian Opera Academy
«L'opera italiana non ha bisogno tanto di me personalmente, quanto di qualcuno che possa trasmettere un metodo di lavoro che era tipico della scuola italiana, già prima di Toscanini e poi passato per De Sabata, Cantelli, Serafin, Votto, e che ora è andato in disuso». Nel presentare nell'affollata sala del Teatro Alghieri il concerto conclusivo della sua nuovissima Italian Opera Academy, messo a sigillo del Ravenna Festival 2015, Riccardo Muti ha lamentato – permettendosi anche qualche battuta umoristica – da una parte, il progressivo abbandono di quell'apprendistato che portava ogni giovane direttore d'orchestra a conseguire una preparazione a 360 gradi, compresa la magistrale conoscenza della vocalità; e dall'altra, la sempre più trascurata prassi di effettuare un congruo numero di prove, sì da andare in scena sicuri del risultato. Perchè verso l'opera italiana, sostiene con piena ragione il grande maestro napoletano, si deve pretende ovunque lo stesso rispetto - a volte anche esageratamente religioso - che altrove si tributa per esempio all'opera tedesca. Oggi invece nessuno, si lamenta giustamente, pare abbia il tempo necessario per approfondire una partitura: né i cantanti, né i direttori, né i teatri stessi dato che le prove, si sa, costano parecchio.
Dall'immenso amore che Muti nutre per il melodramma italiano – ricordiamo il recente recupero di alcune partiture dimenticate sugli scaffali dei conservatori napoletani – è nata l'idea dell'Italian Opera Accademy, tenutasi per la prima volta a metà luglio: vale a dire negli stessi giorni in cui si preparava l'andata in scena dell'ammirevole Falstaff di cui parliamo nelle nostre recensioni. Una masterclass impegnativa ed intensissima, presenti in buca gli strumentisti dell'Orchestra Cherubini, nell'ambito della quale quattro giovani direttori e altrettanti maestri collaboratori, selezionati con comprensibile difficoltà tra centinaia di validi candidati (gli esclusi potevano comunque presenziare come uditori), hanno potuto avvalersi dei suoi preziosi insegnamenti. I primi, con l'obiettivo che possano validamente sostenere la piena responsabilità d'uno spettacolo, controllando a dovere il palcoscenico, cantanti compresi; e i secondi, col fine di saper interpretare a fondo una partitura, affiancandosi agli interpreti e correggendone all'occorrenza ritmo ed intonazione, preparandoli poi alle prove d'insieme. Oggetto di studio in questa primissima edizione ovviamente è l'estremo capolavoro verdiano, sulle cui pagine il Maestro instancabilmente torna e ritorna, esaminando e commentando ogni dettaglio, facendole ripassare agli allievi – tutti sotto i trent'anni - e ripetendole all'occorrenza egli stesso: lezioni non solo d'arte ma anche di vita, ricordando ai propri discenti come musica e parola siano strettamente legate l'una all'altra, che «la musica è fatta di dinamiche e colori, questa è la base», e che «a Verdi basta un niente per creare una situazione».
Al concerto di gala finale, quattro consistenti estratti di Falstaff: l'inizio del I Atto, affidato al bielorusso Vladimir Ovodok, la prima parte del II Atto, diretta dalla tedesca (ma d'origine cinese) Erina Yashima; dal III Atto, la prima parte guidata dal tarantino Vincenzo Milletari, la seconda dal taiwanese Su-Han Yang. Nella diversità di suono ottenuto da ognuno d'essi dagli strumenti della bravissima Orchestra Cherubini - che in questi giorni ha sopportato un vero tour de force - il segno distintivo delle differenti personalità, del diverso modo di porsi, di stili esecutivi ancora in nuce. Sotto la loro bacchetta agiva un agguerrito e flessibile manipolo di giovani cantanti, che è giusto citare iniziando dai bravissimi Sergio Vitale (Falstaff) e Mattia Olivieri (Ford); ricordando poi Benedetta Torre (Alice), Antonella Carpenito (Meg), Francesca Ascioli (Quickly), Bianca Tognocchi (Nannetta), Matthias Stier (Fenton), Giorgio Trucco (Cajus), Graziano Dallavalle (Pistola) e Matteo Falcier (Bardolfo).
Alla fine, consegna dei diplomi di frequenza anche ai maestri collaboratori (la cinese Yin Boije, gli italiani Andrés Jesus Gallucci e Giorgio Martano, la georgiana Tamar Giguashuili). Il pubblico del Teatro Alighieri, pressochè esaurito in ogni ordine di posti, alla fine della piacevolissima serata ha tributato a tutti una calorosa accoglienza, divertito anche dalle ironiche battute del maestro Muti rivelatosi inaspettatamente un perfetto e piacevole entertainer di questo “Italian Opera Academy Gala” di fine luglio.