Un teatro semplice che vive dell'energia dell'attore, dove i protagonisti in questo "luogo senza spazio e senza tempo" sono un attore, un burattino, delle panche di legno, una scatola di legno e le parole.
Un teatro semplice che vive dell'energia dell'attore. Questa la proposta di Jernej, andato in scena al Ridotto del Mercadante per il Fringe del Napoli Teatro Festival. I protagonisti in questo "luogo senza spazio e senza tempo" sono un attore (Simona Di Maio), un burattino, delle panche di legno, una scatola di legno e le parole. Tutta la magia è nella capacità dell'attore di creare dimensioni, dare vita agli oggetti. Ingredienti semplici, essenziali che ruotano attorno alla fisicità viva e vivace di Simona Di Maio, la cui voce è solo uno degli aspetti del suo agire. Diretta da Simone Giannatiempo su testo curato da lui stesso insieme a Maria Teresa Rovitto.
Un personaggio a fondo scena. La luce come una porta ci introduce nella magia del racconto. Ma non è una favola, è una piccola tragedia che si consuma nei meandri di ciò che è giusto e ciò che non lo è. Troviamo Jernej, un contadino che ha seminato di sudore la terra, al funerale del suo padrone Sitar. Con lui ha condiviso le fatiche, le pene, le gioie di rendere fertile una terra, di costruire la casa. Ma con la morte del padrone il figlio, il nuovo padrone, lo caccia via. Ringrazia e via. Così inizia il viaggio di Jernej, il viaggio nel dolore e nella ricerca di un riconoscimento. Va ovunque per avere pareri, dal sindaco all'imperatore, alla ricerca di una Giustizia umana e poi anche quella Divina, ma le risposte sono sempre le stesse: chiedere la misericordia, perdonare e mendicare un posto. Insomma vivere da subordinato anche dopo aver vissuto una vita per una causa, per un lavoro dovrebbe garantire una posizione. Fin quando la giustizia se la fa da solo: brucia la casa. Fine della magia.
Oltre la storia, che ha la sua morale e la sua dimensione pessimista, la magia vive nell'agire. Il dialogo con il burattino diretto sempre da Simona Di Maio e soprattutto il continuo farsi e disfarsi di scenografie composte da tre panche che si l'attrice trasforma in seggi, treni, galera, letto e in tutti gli scenari necessari per il viaggio Jernej. L'immagine che forse meglio sintetizza il tipo di percorso è quella del treno. Le panche vengono composte come se fossero uno scompartimento, il suono del treno è prodotto dai colpi, sempre più veloci e ritmati, che l'attrice crea percuotendosi mentre contemporaneamente racconta sia la storia Jernej che i commenti degli altri passeggeri pronti a ridicolizzare il contadino. Qui si vedono insieme le qualità della Di Maio: la capacità di ritmo, di dare voce alla poliedricità dei personaggi, utilizzando sempre la sua energia in un agire sempre chiaro e pulito.
Un leggero e triste racconto, non un monologo ma un gioco divertito tra parole e oggetti, tra cui spicca la valigia che nel suo ventre nasconde una casa, la stessa che poi, color rosso di luci (parte fondamentale dello spettacolo) viene bruciata.