Teatro

LA COLLEZIONE RICCI ODDI A PIACENZA

LA COLLEZIONE RICCI ODDI A PIACENZA

La Galleria d'arte moderna Ricci Oddi mantiene il suo fascino inalterato anche senza i capolavori temporaneamente in mostra a Perugia (vedi la recensione “Da Corot a Picasso, da De Nittis a Fattori” per la descrizione delle opere in prestito fino al 18 gennaio 2009). Quando Giuseppe Ricci Oddi (1868/1937) acquista per la prima volta due dipinti nel 1897 non immagina che avrebbe fatto della ricerca di opere d'arte e del collezionismo la ragione della sua vita e che avrebbe dedicato tutte le sue energie e molte delle sue sostanze economiche alla creazione di un museo di arte moderna. Quell'anno il nobile piacentino rientra nella città natale dopo avere trascorso a Roma e Torino alcuni anni col pretesto di poco produttivi studi di legge. Nel volgere di un breve tempo “nasce” il collezionista Ricci Oddi, il cui bisogno di procedere nelle acquisizioni diventa inarrestabile, con i tormenti e le gioie che a questo bisogno consegue: “una delle maggiori difficoltà da superare, nel collezionare, è quella di sapere frenare la ognor crescente brama di nuovi e maggiori acquisti”, scrive nel 1918. Giuseppe Ricci Oddi, nonostante la sua pretesa ignoranza in fatto d'arte, è dotato di gusto e sensibilità. Egli di certo non appartiene al tipo di collezionista dotato di sentimenti delicatissimi per le cose e di una sensibilità glaciale per le persone, come direbbe Bruce Chatwin, in quanto spesso l'acquisto di dipinti a un certo prezzo viene stabilito per aiutare un artista in difficoltà. La raccolta diventa un rito per esorcizzare la solitudine e il taedium vitae, impedendo la disillusione che proviene dai nostri simili, una sorta di culto profano e privato. Perciò sconcerta la concezione, a un certo punto, di operare con un fine pubblico, quasi in obbedienza a una sorta di imperativo etico, per lasciare alla sua città la collezione, destinandola alla pubblica fruizione. Nel 1924 manifesta questa intenzione al sindaco di Piacenza: il Comune dona il terreno nell'area della chiesa dei cappuccini e il nobile finanzia la costruzione dell'edificio, disegnato da Giulio Ulisse Arata. La Galleria viene inaugurata l'11 ottobre 1931 alla presenza dei principi di Piemonte Umberto e Maria Josè di Savoia ma senza il donatore, troppo schivo per prendere parte alla cerimonia. Dopo la morte di Ricci Oddi nel 1937 la collezione si è arricchita di qualche opera, anche se le ridotte disponibilità finanziarie non hanno permesso, dopo la guerra, di procedere ad una politica degli acquisti. Anche per questo si presenta compattissima e con una fisionomia nettamente delineata, documento della stagione storica fra Otto e Novecento e di una fase del gusto di un'élite di provincia moderatamente conservatrice (tanto da rifiutare le avanguardie) ma tutt'altro che sprovveduta. Il museo è ordinato secondo criteri regionalistici, la luce naturale piove fascinosamente da ampie vetrate sui soffitti. Emiliani: Mario Cavalieri, Amedeo Bocchi, Luigi Corbellini, lo scultore Graziosi acquistato alla Biennale di Venezia. Toscani: Giovanni Boldini (suo il “Ritratto di signora” recensito da Margherita Sarfatti), Silvestro Lega, Telemaco Signorini. Liguri e piemontesi: Giacomo Grosso (“Ritratto all'aria aperta” con splendida cornice intagliata), Alberto Pasini. In un ambiente di passaggio una piccola sezione di orientalisti, poi una sala dedicata ad Antonio Fontanesi (il preferito di Ricci Oddi, presente con diverse opere, una delle quali del periodo giapponese) e una ad Antonio Mancini, l'impressionista italiano. Lombardi: gli scapigliati, Francesco Hayez, Girolamo Induno, le sculture di Giuseppe Grandi, i disegni di Rizzi, il primo Previati, il Segantini pre-divisionista (“La culla vuota” 1881, sul tema della morte infantile: l'alba sorprende in lacrime la madre davanti a una culla vuota). Veneti (Felice Carena) e marchigiani (Anselmo Bucci). Meridionali: Francesco Paolo Michetti (alcuni con cornici che il pittore stesso realizzò con legno, sabbia e colla), Domenico Morelli e Vincenzo Irolli. Nella sala ottagona le sculture: Domenico Trentacoste ma soprattutto l'”Ecce puer” di Medardo Rosso (esposto nel 1926 alla mostra sul Novecento italiano voluta dalla Sarfatti) e il “Ritratto di Julia Alberta Planet” di Adolfo Wildt (delicatissimo nella coroncina di fiori nell'orlatura del velo). Per finire con il simbolismo (Adolfo De Carolis “Mater Natura”), gli stranieri e chi li frequenta (Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi). Gli enti locali debbono (anche questo è un imperativo etico) mostrare maggiore attenzione e generosità economica per conservare, valorizzare e promuovere una collezione straordinaria che non ha eguali nel mondo. Imperdibile, anche per l'atmosfera sospesa che regna nelle sale e nel giardino. Piacenza, Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi, infoline 0523.320742, sito internet www.riccioddi.it