La mostra evidenzia alcune costanti nella fortuna dell’arte greca: modalità rappresentative e valori etici e simbolici che hanno dato sostanza nei secoli alla “forza del bello”. Le sale di Palazzo Te rendono il percorso unico ed irripetibile, con profonde emozioni tra reperti, architettura ed affreschi.
Il rapporto fra l’arte greca e l’Italia è classificabile in tre momenti, corrispondenti alle tre sezioni della mostra. “Un’Italia greca” parte dalle città greche in Sicilia e in Magna Grecia per poi considerare le città etrusche ed altre che importano prodotti dell’arte greca (tra cui le città picene delle Marche). “La Grecia conquista Roma”: i romani saccheggiano e raccolgono opere d’arte greca, chiamano artisti greci a lavorare in Italia e ornano le case con copie di capolavori di scultura e pittura greca; diffondono in tutto l’impero l’ammirazione per l’arte greca. “Nostalgia della Grecia”: la citazione di artisti greci in opere letterarie latine consacra anche nel Medioevo la fama dell’arte greca ormai perduta. A questa eco si affianca dal Quattrocento in poi l’importazione di sculture dalla Grecia, poiché gli antiquarii aprono la strada agli archeologi alla riscoperta dell’arte greca in Europa.
L’arte greca, sia in Italia che in madrepatria, sviluppa fra VII e II secolo a.C. i suoi tratti caratteristici: l'attenzione al corpo umano nei suoi valori di energia ed eleganza; l'equilibrio fra controllo sul corpo e sfrenatezza in condizioni estreme (guerre e danze dionisiache); il contrasto fra sensualità dei corpi e intensità dei volti; la modalità di narrazione del mito e la rappresentazione degli dèi (caratteristiche che formeranno le categorie estetiche della recezione dell’arte greca).
Il percorso si apre con i kouroi arcaici, in cui il valore dell’agilità e delle forze corporee sono uniti alla sapienza sociale dell’autocontrollo che regola il comportamento all’interno della comunità. È stato qui riunito il cosiddetto “Apollino Milani” di Firenze con la sua testa da Osimo.
Sperimentando il controllo del movimento e del comportamento se ne acquisisce conoscenza e dominio. Il “luogo” per la sfrenatezza è il simposio: il komos è il momento in cui, dopo la bevuta, i simposiasti si avviano per la città danzando e cantando, comportandosi come il corteo divino che vede Dioniso sfilare accompagnato dai suoi seguaci, i satiri: espressivissimi i due Sileni in bronzo, crateri presentano scene di simposi e processioni.
L’aspetto di dèi ed eroi, accanto alle forme per narrarne le gesta, sono uno dei principali interessi dell’arte greca, una centralità legata alla funzione delle immagini di dèi ed eroi e delle storie (mithoy) connesse nella vita religiosa e civile delle città: statue e immagini si adattano flessibilmente alle nuove esigenze politiche e/o religiose. Lo Zeus di Ugento ha lunghe trecce, perfetti nella conservazione sono i crateri apuli da Ruvo di Puglia a figure rosse, mentre una inusuale piccola ara di terracotta arriva da Caltanissetta. Imperdibile la kylix attica con dentro le imprese di Teseo e fuori lo scontro di dèi ed eroi nella guerra di Troia.
La nudità del corpo femminile si diffonde dal V secolo a.C., mentre forse al IV risale il denudamento di una divinità femminile, ovviamente Afrodite; invece la rappresentazione del volto risponde a criteri sì di bellezza ma inestricati e inestricabili dall’ethos, il carattere dell’animo, nell’indicazione secondo cui ogni tratto iconografico è indicazione di specifici valori. La danzatrice, la Psiche e la Menade dormiente (da Taranto del II sec.) hanno panneggi morbidi e fluttuanti ed espressioni serene.
La seconda sezione si apre con l’inquietante, metafisica testa di Atena. I romani delle classi elevate, dopo avere assoggettato la Grecia, attratti dai valori formali ed ideologici, si appropriano della sua cultura importando e collezionando opere originali, chiamando artisti greci, acquistando copie di capolavori, inglobando elementi greci nella propria memoria culturale (l'Ercole sembra un moderno Mitoraj).
Il mercato degli originali importati è vivacissimo, lo attesta Cicerone nelle Verrine: drammatica è la Niobide e commoventi le steli funerarie, una con atleta e fanciullo, l'altra con una ragazza che tiene in mano delicatamente una colomba. Altrimenti circolano copie, una fiorente industria che favorisce una diffusione prima impensabile. Notevoli il discobolo da Castelporziano e il doriforo di Policleto, capolavoro del V secolo famosissimo nell'antichità; non da meno l'Atena Lemnia di Fidia, due teste da Bologna e Baia (Napoli). Gli artisti greci vengono chiamati in Italia da commesse importanti, anche imperiali (Apollo da Piombino).
Un capitolo è parte è costituito da “Sensualità degli dèi, gioia di vivere”, dedicato ad Afrodite e Dioniso: il mondo di Venere e il mondo di Bacco condensano l'idea della gioia della vita; le immagini di queste due divinità permettono di cogliere l'immaginario e la spinta ideologica che portano l'acquirente o il committente alla scelta di determinati soggetti per ornare le proprie case e tombe. Accanto a temi squisitamente sensuali, il mito viene narrato per riviverlo e i ritratti di poeti e filosofi li qualificano come custodi della tradizione.
Il crollo dell'impero romano comporta la distruzione di quasi tutte le opere dell'arte antica e quel poco che rimane torna alla luce secoli dopo, spesso occasionalmente. Però la letteratura latina mantiene la memoria, senza però distinguere tra arte greca e arte romana: l'arte “classica” diviene modello per gli artisti. Icona della mostra sono i due “Spinario” del I sec. a.C., uno in bronzo e uno in marmo, accanto ai quali sono due disegni rinascimentali con spinari e studi dall'antico. Le opere antiche vengono poste in un nuovo contesto, come nel duomo di Pisa e nella villa Imperiale di Pesaro, oppure la testa della Erinni Ludovisi del II sec. d.C. appoggiata su una mensola cuscino del XVI sec. usata come supporto nel giardino di villa Cesi.
La mostra si chiude con dispersioni e recuperi: dei marmi di Ascoli Satriano sono esposti un bacino con Nereidi dipinte e lo stupefacente trapezophoros con due grifoni che sbranano una cerva; nell'ultima teca, per lasciare i visitatori a bocca aperta, il cratere a calice del 515 a.C. con Patroclo che uccide Sarpedonte, restituito recentemente dal Metropolitan e conosciuto come “vaso di Eufronio”.
“Amiamo il bello (philokaloumen), ma con semplicità; e amiamo il sapere (philosophoumen), ma senza mollezza” (dal discorso di Pericle, Tucidide “La guerra del Peloponneso”, II 40 e 41).
Mantova, Palazzo Te, fino al 6 luglio 2008, aperta tutti i giorni dalle 9 alle 19, ingresso euro 10,00, catalogo Skira, infoline 199.199.111, sito internet www.laforzadelbello.it
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