Teatro

La prima volta di Francesca da Rimini dopo due secoli

La prima volta di Francesca da Rimini dopo due secoli

A Martina Franca va in scena, per la prima volta assoluta, la Francesca da Rimini di Saverio Mercadante in un nuovo allestimento di Pier Luigi Pizzi che gioca con il vento che avvolge i cantanti in veli colorati, come gli sfortunati protagonisti nella bufera infernale.

Quando, nel 1831, Saverio Mercadante compose per il Teatro Reale di Madrid la sua Francesca da Rimini non avrebbe mai pensato che vedesse la luce per la prima volta al 42° Festival della Valle d’Itria nella splendida cornice del Palazzo Ducale di Martina Franca, 185 anni dopo la sua stesura. Le vicende di questa opera scritta e mai rappresentata fino ad oggi non sono molto chiare; fatto è che Mercadante partì in fretta da Madrid senza averla rappresentata e nemmeno un fugace tentativo successivo di farla rappresentare alla Scala ebbe per lui successo, tanto che la partitura venne abbandonata nel dimenticatoio di almeno due archivi: Bologna e Madrid. La vicenda divaga un poco dalla autentica storia di Paolo e Francesca e ne viene una lettura di vaga ispirazione risorgimentale e patriottica.

Il Festival della Valle d’Itria, in ossequio anche a un autore pugliese come Mercadante (era di Altamura), ha iniziato un cammino di riscoperta di questa sconosciuta partitura grazie anche alla edizione critica di Elisabetta Pasquini, che ha permesso di affidare un lavoro musicalmente ambizioso e raffinato ad una maestro della regia operistica internazionale, Pier Luigi Pizzi, che ha curato non solo la regia ma anche le scene e i costumi. Pizzi torna a Martina dopo vent’anni e il suo allestimento stupisce per la raffinata ed elegante semplicità. Rimasto colpito dalla brezza che lambisce il cortile di Palazzo Ducale, il maestro ha pensato di incentrare il suo lavoro sul vento. Una scena spoglia che utilizza come fondale il muro del Palazzo, che potrebbe essere quello dei Malatesta a Rimini, oppure la prigione di Francesca, oppure ancora il monastero dell’atto finale. Pizzi però ricrea un’atmosfera inquietante e tenebrosa sistemando ai lati della scena un velario nero che vorrebbe simboleggiare l’Inferno e con l’aiuto del vento (bufera infernale) i protagonisti, vestendo abiti leggeri e fluttuanti, sono avvolti dalle loro passioni nello svolazzo di veli e costumi. Gli abiti abbondanti dei personaggi permettono questo fluttuare delle stoffe; gli stessi colori sono incisivi, monocromi e accesi, in cui trionfa il nero, ma anche il bianco delle coriste (bianco che si trasformerà poi in nero man mano che la vicenda si incupisce), a ogni personaggio poi è affidato un colore: il rosso della passione a Francesca, il blu della fedeltà a Paolo, il giallo dell’ambizione a Lanciotto e il viola della saggezza a Guido. Elemento importante sono anche le coreografie di Gheorghe Iancu, che si inseriscono con arte e perizia nel contesto narrativo, unendosi all’eleganza narrativa della regia, anche se fuori contesto – rispetto alle altre coreografie – quella finale delle monache.

Il maestro Fabio Luisi ha curato con grande perizia la partitura, dirigendo brillantemente l’Orchestra Internazionale d’Italia. La sua direzione, fluida e spontanea, ha messo in risalto coloriture e particolari; la sua concertazione è, come sempre, un esempio di eleganza e raffinatezza, dando agio ai cantanti di esprimersi al meglio e riuscendo a controllare ogni più piccolo suono dell’orchestra. Dalla sua mano è scaturita una musica avvincente, a tratti romantica e drammatica che ha tenuto il pubblico teso fino all’ultima nota.

Nel ruolo della sfortunata protagonista la spagnola Leonor Bonilla che, benché giovanissima, ha sostenuto con grande perizia una parte non facile e di grande spessore; facile alle agilità, voce sicura e solida, acuti ben calibrati, è stata una vera protagonista; il suo lirismo ha reso alla perfezione la fragilità e la passione drammatica del personaggio (giustamente più volte applaudita, ha trovato vivo apprezzamento dal pubblico). Il mezzosoprano giapponese Aya Wakizono, nel ruolo en travesti di Paolo, rivela una vocalità elegante e pienamente nel ruolo drammatico che gli compete: brava nelle agilità e nella tessitura drammatica, ottima musicalità e stile che si rivela soprattutto nella lunga aria finale, meritatamente applaudita a lungo. Dopo Francesca il vero protagonista del dramma è il marito Lanciotto, interpretato dal tenore turco Merto Sungu: il difficile ruolo è superato brillantemente da Sungu che ha dato voce ad un personaggio passionale, ardito e violento, con grande classe e dinamiche vocali molto interessanti; voce equilibrata e brunita, acuti sostenuti e limpidi, ne fanno un vero fuoriclasse dalle belle speranze. Molto valido il basso Antonio Di Matteo, pienamente nel ruolo di Guido; la voce calda e profonda, l’imponenza fisica, hanno tratteggiato il padre fiero e premuroso. Brava l’Isaura di Larisa Martinez. Merita una menzione il tenore peruviano Ivan Ayon Rivas, nel ruolo comprimario di Guelfo, per la voce incisiva e pulita. Il Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca preparato da Cornel Groza ha egregiamente sostenuto il ruolo.

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