Teatro

La vita in un corpo, l'elogio della carne secondo Pennac

La vita in un corpo, l'elogio della carne secondo Pennac

Bari, Brindisi, Taranto, Gioia del Colle e Manfredonia. Cinque date pugliesi per il Journal d’un corps di Daniel Pennac

Un tavolo tappezzato d’erba sintetica sul piano, una sedia in legno, vari lampadari che cadono a una stessa altezza e un fondale, per metà rosso per metà scuro, su cui corre la bella grafia in corsivo che riempie le pagine di un diario personale. Anzi, d’un corps. Lo scritto viene consegnato a una donna, Lison, dopo la morte di suo padre, autore del diario. Subito la voce femminile fuori campo produce la stessa trepidazione di un libro che s’inizia a sfogliare e si è pronti, con Daniel Pennac illuminato sul palco, a penetrare nel mistero della vita attraverso l’elogio della carne. 

Niente fanatismi edonistici e niente psicologismi, per carità: Journal d’un corps è un diario che un uomo scrive dai 12 agli 87 anni, prima di morire, con l’ironia e la vivacità dei ragionamenti a cui ci ha abituati il creatore di Monsier Malaussen. L’autore del diario parte dall’infanzia, dal padre mai conosciuto alla madre anaffettiva, dal calore della tata Violette a Dodo, fratello immaginario, per poi attraversare l’età adulta, la paternità, la malattia. Punto di partenza e di eterno ritorno le tavole anatomiche di Larousse che il protagonista, da bambino, appende nella sua stanza e con quelle ci si confronta a mo di specchio in un dialogo lungo una vita.

I cambiamenti del corpo si elevano così al rango di epifanie di una crescita spirituale, del mondo degli affetti dalla maturità alla vecchiaia. Al tempo stesso, scaltro e ironico, Pennac riporta l’epifania sulla terra, per esempio in uno starnuto, e così il corpo, tutt’altro che sublimato in ideali di grazia e gentilezza, è presentato nella sua natura più bassa, vale a dire più intima. Le trasformazioni sono in realtà trasfigurazioni: i punti neri o le flatulenze accanto al primo amore o alle divertenti teorie di un nonno che cerca di spiegare l’estinzione dei dinosauri con i gas della pancia. E lì dove il corpo maschile del protagonista non arriva, ecco dischiudersi il mistero della donna. Sentimenti ed emozioni diventano palpabili, densi di materia; la curiosità guida la conoscenza di sé, passando attraverso la pelle, la carne, i fasci di nervi, persino attraverso le incongruenze per certe “caste omissioni” anatomiche del Larousse che regalano al pubblico momenti davvero esilaranti.

Pennac sfoggia, ma senza compiacimento, un’interpretazione partecipata che è  figlia di passaggi autobiografici presenti nell’opera. Tutto il resto invece, come la figura della madre anaffettiva, proviene dall’osservazione e dalla curiosità. “Durante gli anni d’insegnamento - confida l’autore durante una chiacchierata col pubblico a fine spettacolo -  ho conosciuto la madre di un mio allievo che era come io ho descritto quella del Journal. E ne ero totalmente affascinato”.

Curiosità, sorpresa e rivelazione procedono di pari passo: l’autore dà voce al diario con un’interpretazione che è molto più di una lettura: scandisce le parole quasi a pesarne la densità. Quando poi la storia e l’emotività incalzano sfoga un’orgia di parole a ritmi così serrati da far percepire la fatica fisica di una tale emissione. E quando è momento di congedarsi dalla vita e dal corpo, Pennac alleggerisce i toni in un sussurro che è una dichiarazione d’amore e di consapevolezza, disinvolta quanto una passeggiata in una notte serena.

 

Recensione a cura di Antonella Carone per Teatro.Org