Un percorso che libera la narrazione quanto più lo spettatore si allontana dal senso della vista.
Forse per colpa della definizione (Teatro dei sensi) o forse per l’inedita descrizione (Spettacolo per un singolo viaggiatore), non c’è da escludere che possa essere stata la location (il Museo Diocesano di Donna Regina Vecchia), sta di certo che non dissimile da un’epopea è divenuta l’esperienza organizzativa gravante sulla compagnia Teatro dei Sensi Rosa Pristina, che il Napoli Teatro Festival 2016, ospita nel proprio cartellone dal 29 al 14 luglio 2016. Purtroppo le rocambolesche ipotesi suddette sono solo frutto dell’immaginazione e la vera ragione per la quale il loro lavoro, Il vecchio fango, ha trovato difficoltà (per fortuna risolte dall’ impegno comunicativo della stessa compagnia e dal passaparola degli spettatori) nell’avere l’adeguata affluenza di pubblico nelle prime serate di replica, è più realisticamente legata all’inefficienza gestionale dell’organizzazione. Un’inadeguatezza perdurata nel tempo, che ha portato alla vendita di un solo biglietto (invece di cinque) per ognuno dei nove appuntamenti serali previsti, portando in brevissimo tempo al sold-out virtuale di tutte le quindici serate in programmazione. Un racconto che lascia basiti.
Ma così come si suol dire, la fortuna arride agli audaci, ed il lavoro del gruppo diretto da Susanna Poole ha meritatamente trovato nel tempo un ampio gradimento di pubblico e critica. Un lavoro che, in totale difformità con il teatro di prosa, costruisce la propria drammaturgia nell’interazione costante tra la sensibilità dello spettatore ed il contesto performativo in cui quest’ultimo è calato, traducendo lo spettatore stesso nel protagonista dell’opera messa in scena. Una ricerca espressiva che, sospendendo per un attimo il sopravvalutato senso della vista, spinge alla riappropriazione della vastità sensoriale, non sufficientemente fisica ma più intensamente psichica, quotidianamente mortificata ed infine resa ipotrofica dall’attuale società massmediale. Il percorso che si intraprende, libera la narrazione quanto più lo “spettatore” (è difficile definirlo ancora così) si allontana dal senso della vista. Le voci, i respiri, le carezze, gli odori, sublimando un intero universo, si stratificano lievemente l’un l’altro, condensandosi infine nel dramma narrato.
Il vecchio fango è un viaggio in un piccolo villaggio di campagna. Lì, tra case in pietra e viottoli erbosi, si comprenderà che quel sentire comune che trasforma gli individui in una comunità e che siamo soliti chiamare Storia, non risiede nei volti o nei luoghi vissuti dai suoi abitanti ma nell’anima della loro terra.
Superfluo quindi dilungarsi nella descrizione dei singoli passaggi narrativi poiché la necessità di quest’opera va ritrovata, ad ogni replica, nella profonda bellezza dell’esperienza vissuta.
Un lavoro poetico, scevro di qualsivoglia esibizionismo performativo, che con saggezza e maestria tecnica lascia un segno indelebile per la sua intensità espressiva.