Le utopie rinchiuse in una grotta. Un percorso da Mao Tse Tung a Giuliano Ferrara. Uno spettacolo itinerante. Un barbuto Marx che dirige il gruppo come un dantesco Virgilio. Ideologie che diventano museo. La luce alla fine del tunnel. Sono questi alcuni degli elementi scenici del “Museo delle utopie”, spettacolo scritto da Pietro Favari e realizzato da Giuseppe Sollazzo all’interno della grotta di Seiano per il Napoli Teatro Festival Italia. Effettivamente la grotta riesce a comunicare una potente suggestione scenica, sottolineando una sua specifica dimensione teatrale: la lunghezza del suo percorso richiama alla memoria i drammi a stazione della tradizione medievale, ma è interessante anche l’alternarsi di spazi di luce e di ombra nella costruzione di scene e personaggi, come le nicchie laterali scavate nel tufo su cui sono stati ricavati piccoli palchi. In questa cornice sono rinchiuse le utopie, attraverso le brevi storie di famosi personaggi della storia passata.
Il problema estetico sorge, e deve essere affrontato, nella misura in cui queste utopie debbano vivere di un racconto blando, macchiettistico, superficiale, di una drammaturgia complessivamente piatta e riduttiva. In questo senso le utopie non riescono davvero a sprigionare una loro narrazione, restando segregate in una grotta. Si susseguono tra gli spettatori le figure di Marx, Mao, Berlioz, Tommaso Moro, Pressagora, Gulliver, Paul Lafargue e Laura Marx, pieni di voglia comunicare la loro idea di utopia, ma incapaci di mostrare reali squarci di luce su quello che avrebbe dovuto essere il loro mondo migliore. Lo stesso Marx si sdoppia nella sua contraddizione. La rivoluzione culturale sembra diventare una barzelletta, mentre nel finale la faccia onnipresente in video di Giuliano Ferrara ci spiega l’essenza filosofica del grande fratello. Ci si domanda demotivati alla fine dello spettacolo, che corrisponde all’attraversamento dell’intera grotta, dopo il buio dell’itinerario scenico e la luce dei riflettori sparati dal varco d’uscita contro gli spettatori, cosa significhi essere fuoriusciti da questo presunto museo e che tipo di esperienza è stata compiuta.
Raccontare il sogno di un mondo ideale sembra davvero essere un’impresa titanica. Il teatro potrebbe, forse dovrebbe, anche farcela, ma lo spettacolo di Sollazzo, coadiuvato da un buon cast di attori, nel quale vanno segnalate le interpretazioni di Mario Santella e Tonino Taiuti, non riesce ad uscire da un dimensione museale, episodica e ingessata allo stesso tempo, ed a restituire agli spettatori la vita di quelle utopie, fatte da una parte delle lacrime e sangue di possenti corpi teatrali e dall’altra dei bagliori delle stelle che quei corpi hanno indicato per esprimere nuovi orizzonti di vita. Il miglior teatro ha saputo raccontare il senso di utopie umane e sociale a partire anche da un piccolo oggetto di scena, come il fazzoletto di Otello, perché attraverso quella semplice tessitura poteva emergere un mondo con i suoi fantasmi. Questo museo sembra vivere solo di luci artificiali.
Teatro