L'opera mozartiana viene affidata alla direzione di James Conlon ed alla regia di Giorgio Ferrara, affiancati nella scenografia a Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo.
Della trilogia Mozart/Da Ponte, Le Nozze di Figaro -commedia per musica in quattro atti- rappresenta un punto per molti versi storico, di rottura e di nuovo ingegno, se è vero che lo stesso Beaumarchais si congratulò per aver saputo modificare, in cosa del tutto nuova, la pur frequentemente riprodotta commedia francese. È qui, come del resto anche nel Don Giovanni ed in Così fan tutte, che rispetto alla librettistica in voga sino ad allora, e grazie al sodalizio con l'assoluto Genio salisburghese, vengono superate le rigide partizioni classicistiche che individuavano i caratteri dei personaggi, che ora invece volano dal comico al tragico, così come, dopo Goldoni e Metastasio, si oltrepassa la separazione fra i recitativi, le arie ed i concertati, giungendo al disegno di personaggi “veri” e mai fino ad allora conosciuti, pronti ad essere immersi in una realtà in cui temi come la seduzione, l'amore la finzione e l'ambiguità conferiscono loro, deo gratias, un unicum pieno di godibile spazio psicologico.
Il 59° Festival dei due mondi di Spoleto comincia così, con il trionfo dell'eterno Genio e dell'immanente leggerezza, affidando tutto alla direzione di James Conlon ed alla regia di Giorgio Ferrara, affiancati nella scenografia a Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo.
Affacciati nel Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, a percepire l'atmosfera di una prima così attesa, appare finalmente il nostro intimo amico Mozart, presenza extraterrena che sopravvive a secoli di musica con la sua maestosa imponenza e miracolosamente ingenua freschezza; l'overture tuttavia parte con un attacco assai poco vigoroso, si direbbe anzi perfino che sfiori la timidezza, conducendo poi con imperterrita velocità esecutiva l'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. La scena è curata, asciugata e semplice, quasi in contrasto con i colori troppo accesi degli abiti di Maurizio Galante e con le eccentriche parrucche, in un trionfo del plissè che oltre ad alcuni eccessi come in Susanna, quasi mortificata da una costrizione di spigolature (simile discorso valga per le contadinelle), sembra provocare anche un certo appiattimento fra i personaggi.
Figaro è impersonato magistralmente da Daniel Giulianini a partire nella sua aria di sortita in Fa maggiore "Se vuol ballare, signor Contino" con la cui beffarda intelligenza sfida la risibile arroganza del conte seduttore. Susanna (Lucia Cesaroni) si fa apprezzare per grandi doti di duttilità e intimismo, delicato soprattutto nel superbo duetto con Figaro, mentre Cherubino (Emily D’Angelo) mostra sì, voce e tecnica del legato indiscutibili, ma senza impersonare la frivolezza e la bellezza dell'amore acerbo e spensierato del paggio. Struggente e commovente è la Cavatina di Barbarina (Arianna Vendittelli), forse perfino troppo se si pensa alla giovane donna che ha perduto una spilla, ma va letto piuttosto come un accento intenzionale dello stesso stesso Mozart, essendo non a caso l'unica, nell'opera, scritta in chiave minore.
La direzione di Conlon sui fragorosi concertati dell'ultimo atto arriva diretta e viva, così come essenziale e preziosa risulta l'improvvisazione cristallina e spontanea di Andrea Severi, maestro al clavicembalo e assistente del direttore d’orchestra. Il gioco di luci di A. J. Weissbard fa cambiare colore ad ogni atto, e si apprezza l'uso della scena, estesa sia in alcuni passaggi (Cherubino che parte, o dovrebbe partire, per servire l'esercito) sia soprattutto per il coro; resta forse solo da cercare qualche ombra della presenza della Spagna, ma invano e senza in verità particolari rimpianti, poiché l'insieme consente di giocare come di certo Wolfie stesso, eterno bambino, avrebbe preteso.