All’attesa tranche autunnale del NTFI il Teatro San Ferdinando,uno tra i prestigiosi palcoscenici cittadini del Festival, ospita C’è del pianto in queste lacrime, opera messa in scena dallo Stabile/Mobile Compagnia Antonio Latella, scritta dallo stesso regista Antonio Latella con la giovane drammaturga napoletana Linda Dalisi.
Ed è proprio Linda Dalisi ad accoglierci nel foyer del Teatro San Ferdinando, disponibile e sorridente, pronta a presentarci l’accattivante progetto realizzato per il Festival insieme ad Antonio Latella.
Linda, C’è del pianto in queste lacrime, trae dichiaratamente spunto dalla tradizione della sceneggiata napoletana. L’intenzione di sondare questo genere da quale urgenza nasce?
Quest’indagine drammaturgica nasce proprio dal desiderio di confrontarsi con la materia tradizionale, un desiderio che Antonio nutriva da moltissimo tempo e che, grazie al Teatro Festival, ha visto finalmente realizzazione. Ovviamente, quando parlo di confronto non intendo affatto recupero della tradizione, infatti il nostro obiettivo è stato investigare il rapporto dell’uomo e dell’autore napoletano del XXI sec con le obsolete immagini della tradizione per far emergere il rapporto malato della città con la cultura. Andare a fondo nella tradizione voleva dire, nella nostra prospettiva di scrittura, andare a fondo nel rapporto guasto e malato della città con la cultura: la città risulta schiacciata dalla tradizione, la tradizione nega alla città di essere liberamente e nuovamente se stessa. La sceneggiata è il simbolo di questa asfissia del pensiero perché la sceneggiata stessa è stata incapace di rigenerarsi.
Si può dire che il vostro è stato un lavoro alle radici e sulle radici della nostra cultura?
Certamente le radici sono state toccate dal nostro progetto, ma non ci siamo limitati allo studio ed alla perlustrazione delle radici. Le radici sono state un punto di partenza importante, dalle radici abbiamo iniziato a fare i conti con la nostra storia culturale. In questa prospettiva abbiamo riconosciuto dentro ciascuno di noi una sorta di corredo cromosomico tradizionale, una sorta di DNA ereditato dalla nascita che andava destrutturato ma che, improvvisamente, tornava a sorprenderci per quanto ci restituiva ancora circa le nostre abitudini e circa i nostri comportamenti più ricorrenti.
In una nota leggo: i personaggi non sono personaggi, ma automi, macchine senza epoche, che agiscono, vivono, parlano per quello che rappresentano e non per quello che sono, senza una verità individuale, senza libertà. Puoi spiegarmi meglio?
In effetti, anche se abbiamo conservato i ruoli canonici della sceneggiata, i personaggi sono dei vettori che convergono verso un medesimo obiettivo: lo svuotamento dell’asfissia che soffoca la matrice culturale della società, il perché ed il come lo scopriranno gli spettatori a teatro.
La Compagnia Stabile/Mobile di Antonio Latella e il suo rapporto con la città e con il Festival:
Il rapporto di Antonio Latella con il Festival ha radici lontane, profonde e verificabilmente stimolanti.
Il rapporto con la città, invece, è un rapporto abbastanza complicato; d’altronde Napoli è una città difficile e complicata per tutti gli artisti che provano ad apportare contributi di rottura e di innovazione (in effetti è proprio ciò che diciamo in questo spettacolo). E’ singolare che Antonio Latella sia stato ignorato e criticato proprio quando ha proposto, qualche anno fa, un progetto coraggioso e di grande respiro europeo al Nuovo Teatro Nuovo. Anche Latella, a suo modo, è stato vittima della tradizione che soffoca e paralizza il nostro immaginario.
Infine, Linda, ci racconti qualcosa del tuo rapporto di collaborazione creativa con Antonio Latella?
Antonio è un maestro, sia come regista che come drammaturgo. Nell’elaborazione di questo testo, il nostro rapporto di collaborazione è giunto all’espressione più alta di complementarietà e condivisione. C’è del pianto in queste lacrime è una creatura partorita in maniera completa da entrambi, dopo più di sei mesi di gestazione creativa e dopo centinaia di mail Napoli-Berlino con le quali ci aggiornavamo e ci confrontavamo continuamente. Poi, dopo una settimana di comune segregazione berlinese, il testo ha fatto il salto di qualità che lo distingue e gli dà forma, rendendolo alla stregua di uno spartito su cui anche le parole, marcando il potenziale evocativo e fonico che gli è proprio, indagano i molteplici modi che il napoletano ha di esprimersi e comunicare.