Nella piccola Sala Anima del Teatro Parenti di Milano si ripete ogni sera, fino al 24 gennaio 2010, la magia di un grandioso spettacolo messo in scena da Giuseppe Bertolucci e animato dal talento straordinario di Fabrizio Gifuni. Si intitola L'ingegner Gadda va alla guerra, (o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro), una dedica al grande poeta e scrittore lombardo Carlo Emilio Gadda i cui 'Diari di guerra e di prigionia' servono da spunto, col loro fedele resoconto della partecipazione di Gadda alla prima guerra mondiale, all'interpretazione di Gifuni, straordinario monologhista che persegue proprie idee teatrali grazie alla Produzione Associazione Culturale EsplorAzioni che lo asseconda, per fortuna, quando inserisce un po' di Shakespeare al tutto.
Capace di 'costruire' la tridimensione con un semplice, lento gesto iniziale e utilizzando come unico addobbo scenico una sedia, Gifuni ricorda il pensiero alto di uno fra i più grandi scrittori del '900. Egli ci porta su strade, monti, valli, trincee, con gli alpini e i soldati, con la solitudine e il dolore, con la paura e la rabbia dei giovani che, sopravvissuti anche alla prigionia e a un ritorno a casa da vinti, si ritrovarono in pieno fascismo e in un clima surreale di amor di patria che ormai suonava loro come uno schiaffo solenne. Racconta Fabrizio: "Ho immaginato un Gadda che riavvolge il nastro delle sue nevrosi camminando a ritroso, sulle tavole della memoria, come un Amleto ormai vecchio, senza padre nè madre, nessuno da inveire o invocare. Ma il ricordo monta in furia e il grande autore comprende le storture di una Storia mai perfetta, con un popolo italiano che da troppo tempo abbisogna di riscatto".
Col solo togliersii di volta in volta il soprabito, allacciando gli stivali sotto o sopra i calzoni, togliendosi poi la giacca e restando in maglia nera, l'artista ci regala momenti epici e incantevoli di numerosi personaggi, satira e sberleffo verso il Duce grazie anche all'incrocio con Eros e Priapo, esilarante referto scritto che tratta in tema psicopatologico erotico il flagello del ventennio fascista. Fino ai nostri giorni, ma senza citare alcuno, il bravissimo -e bello!- Fabrizio strappa col suo finale a luci accese un applauso lunghissimo e l'entusiasmo più sincero del ristretto pubblico, limitato solo dalla dimensione della saletta. Da non farsi sfuggire.
(foto Angelo Cricchi)
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