Teatro

L'OLANDESE VOLA AL SAN CARLO

L'OLANDESE VOLA AL SAN CARLO

«La figura dell’Olandese volante è il mito poetico popolare: in esso si esprime con straziante violenza un tratto antichissimo dell’essere umano. Nel suo significato più generale questo tratto è la brama di requie dalle tempeste della vita». Così Wagner sintetizza il valore archetipico del soggetto su cui è incentrato il suo capolavoro giovanile, rappresentato per la prima volta a Dresda nel 1843. “Der fliegende Holländer”, “romantische Oper in drei Akten”, costituisce una tappa fondamentale nella parabola creativa del maestro tedesco, nella quale elementi della tradizione e tratti sperimentali si compongono in equilibri mutevoli e vitali. In quest’anno verdiano e wagneriano, la preziosa e struggente partitura torna al San Carlo di Napoli nell’allestimento - regia, scene e costumi - firmato da Yannis Kokkos, proposto di recente a Bologna (si veda la recensione di Francesco Rapaccioni in queste stesse pagine) e ripreso per l’occasione da Stephan Grögler e Gianni Marras (va notato incidentalmente come il massimo partenopeo abbia conosciuto assai tardi “Il vascello fantasma”, approdato alle sponde di Partenope solo nel 1949 con la bacchetta di Karl Böhm). Lo spettacolo è caratterizzato da un forte impatto visivo: Kokkos duplica lo spazio della rappresentazione per mezzo di un enorme specchio inclinato, nel quale si riflette l’azione agita sul palco; a rendere più complesso il gioco delle suggestioni e delle evocazioni contribuiscono giochi di luce e proiezioni, a cura rispettivamente di Guido Levi (e a Napoli Daniele Naldi) e Eric Duranteau. L’unico contenitore scenico accoglie in ciascun atto pochi oggetti simbolici che suggeriscono le diverse ambientazioni. L’azione ha carattere spiccatamente statico e si basa su una gestualità essenziale, quasi scarnificata; l’asciuttezza del gesto genera talvolta una certa oscurità drammaturgica, in quanto rende poco comprensibili gli slanci descrittivi della musica. L’orchestra sancarliana fa egregiamente la sua parte e, sotto la direzione di uno specialista come Stefan Anton Reck, raggiunge risultati assai apprezzabili di precisione e di potenza. Meno efficace la prova del coro, guidato da Salvatore Caputo, che si lascia andare a qualche sbavatura e risulta non del tutto convincente sotto il profilo stilistico. Il cast vocale è composto da interpreti di vaglia. Su tutti spicca il soprano portoghese Elisabete Matos (Senta), che sfoggia un timbro caldo e corposo e una tecnica elegante. Tra le corde virili si segnala il tedesco Will Hartmann (Erik), generoso nel volume e nell’espressione. Buona ma un po’ monotona l’emissione del finlandese Juha Uusitalo (l’Olandese). Il russo Stanislav Shvets (Daland) e gli italiani Enzo Peroni (il timoniere) ed Elena Zilio (Mary) contribuiscono con gusto alla buona riuscita dello spettacolo.