“Gloriana” è forse una delle opere meno conosciute di Benjamin Britten. Peccato perchè la musica è bellissima e la storia un intreccio di amore e politica che ancora oggi potrebbe essere attualissimo. L’opera, commissionata per l’incoronazione della attuale Regina, Sua Maestà Elisabetta II, avvenuta nel giugno 1953, fu realizzata a tempo di record dal compositore, che iniziò a scrivere la musica ancora prima che fosse completato il libretto. L’argomento cui si ispira è ben noto per la versione più romantica creata da Gaetano Donizetti con il suo “Roberto Devereux”; le fonti di Britten sono però la colorata “Elizabeth and Essex” di Giles Lytton Strachey, del 1928 e il “Queen Elizabeth I” dello storico John Ernest Neale, del 1933, dove il dramma della Regina che manda a morte il suo amato, sconfina in tratti di profonda angoscia esistenziale, forse più intima e raccolta che non nel capolavoro di Donizetti. In Britten, Elisabetta I è vista come una donna molto anziana, fragile, innamorata di un giovane che potrebbe avere l’età di un suo eventuale figlio. Come in tutte le opere del compositore britannico il protagonista è un personaggio “diverso”: la sovrana viene analizzata nella sua miseria umana davanti a una ragione di Stato prevalente, e il romantico Roberto Devereux, Conte di Essex, qui appare più uno spietato calcolatore che cerca di approfittare della passione di una donna ormai prossima alla fine. Non c’è tra i due protagonisti una corresponsione amorosa ma solo una particolare attrazione univoca della Regina per il giovane Conte. Si è detto molto in passato sulla mancata diffusione dell’opera nel repertorio e si è fatto cenno anche a una disapprovazione da parte del pubblico di nobili, dignitari di corte, diplomatici, che assieme all’attuale Sovrana avrebbero assistito alla prima rappresentazione. Pare che la Regina abbia applaudito per otto minuti ma probabilmente l’accostamento della sua incoronazione al ritratto di una sovrana vecchia, anche particolarmente disinibita come appare nelle danze del secondo atto non sia stato in realtà molto gradito. Probabilmente ora nel sessantesimo anniversario dell’incoronazione e della prima rappresentazione dell’opera la Regina sarà stata sicuramente più benevola nel riconoscere l’omaggio che il compositore le aveva offerto molti anni prima. Infatti lo spettacolo andato in scena in questi giorni al Royal Opera House Covent Garden, sotto la direzione del Maestro Paul Daniel e con la regia dell’inglesissimo Richard Jones è stato un trionfo. Il sipario, già aperto prima dell’inizio, mostra un piccolo teatro con sipario chiuso davanti al quale prima ancora dell’attacco del direttore sono presenti alcune maestranze e un dignitario di corte che attendono impazienti l’arrivo della Sovrana per cominciare. Quindi compare una graziosa sosia della giovane Elisabetta II, accompagnata dalla Regina Madre e dal Principe Filippo che permette l’inizio dell’opera. Grazie alla collaborazione di bambini comparse, che portano dei cartelli con delle lettere, lo spettacolo mostra subito il legame di sangue tra le due regine: una rapida carrellata che parte dai Windsor, attraverso gli Hannover, gli Orange, gli Stuart, tra cui, per inciso, appare un giovane Giacomo I che ricomparirà alla fine a reclamare il trono, si giunge ai Tudor e quindi alla protagonista dell’opera, Elisabetta I. La scena sul teatro è tipicamente rappresentativa del periodo elisabettiano, ma sono presenti sempre ai lati figure in abito moderno, anni ‘50, che guidano i movimenti e danno indicazioni ai personaggi come se si trattasse di une vera recita. Bellissimi in proposito i successivi quadri che mostrano squarci di una semplicità tipica del periodo ma dove la commistione con il moderno è accattivante. Particolare menzione per il quadro di Norwich, in cui la parete su cui campeggiano le iniziali della regina è fatta tutta di ortaggi, verdi per la maggior parte, che richiamano gli abiti del coro e i cappellini delle signore simili a quelli molto amati dalla regina, il tutto posto sopra una gradinata tipica delle corse di cavalli cui spesso assiste l’odierna sovrana. La particolare dovizia con cui sono risolte le danze del secondo atto permette ancora di osservare la fatuità dell’ambientazione di corte dove ancora la forma prevale sull’intimo dei personaggi e geniale è la fusione musicale con cui Britten fa sovrapporre sonorità tipiche dell’epoca rinascimentale con drammatici incisi, come nella grave umiliazione di Frances Devereux, moglie del Conte di Essex, , cui viene sottratto il suo abito sontuoso, indossato poi con disprezzo dalla sovrana stessa, che si getta poi in un turbinio di danze volgari. Ancora da menzionare quella linearità con cui viene rappresentata una tipica città inglese, come nelle rappresentazioni al Globe Theater, dove un cieco cantore di ballate si appresta a descrivere i tentativi di guidare una ribellione da parte di Essex e quindi il drammatico annuncio dell’esecuzione. La comparsa poi della Torre di Londra, luogo già funesto per Elisabetta, la cui madre Anna Bolena era stata lì decapitata, mostra un Roberto Devereux che appare a chiedere ancora un ultimo perdono alla sovrana, ormai sconvolta da sinistri presagi. L’opera si chiude, dopo i dolorosi vaneggiamenti della regina, in preda a visioni sconvolgenti, con la ricomparsa della regina Elisabetta II, che nuovamente viene omaggiata da tutti i presenti, compresi i protagonisti, che si prodigano in un inchino reale di grande significato simbolico.
La parte musicale è stata pressoché perfetta in quasi tutte le sue componenti. Il Maestro Paul Daniel ha offerto una interpretazione passionale e lirica nei momenti più intimi ed è riuscito a cogliere l’essenzialità della musica di epoca Tudor, dove la falsità di fondo rendeva plausibile l’utilizzo di simili sonorità. La protagonista, Susan Bullock, è stata una grandissima interprete di Elisabetta I: la sua granitica volontà nell’ esercitare le pubbliche funzioni si è annientata di fronte al suo amato Roberto. In particolare il suo timbro, lievemente usurato dal tempo, è stato perfetto nel realizzare una sovrana dolente, angosciata. Memorabile il suo strazio alla condanna di Essex, come pure i suoi duetti d’amore dove la voce della cantante si è piegata a dolcissimi assottigliamenti, culmine quell’”Happy were we” nel terzo atto, che probabilmente il compositore ha mutuato dall’ altrettanto sconvolgente duetto finale tra Tatiana e Onegin dell’”Eugenio Onegin” di Tchaikowsky, molto amato da Britten. Il finale dell’opera è stato poi eseguito da brivido con quel drammatico passare dal parlato al cantato dove i suoi “Mortua, mortua sed non sepulta!” sono apparsi di una glacialità quasi terrifica. Grandissima interprete vocale, la Bullock ha poi sfoggiato la sua profonda capacità scenica, delineando ora una regina imperiosa, ora un’amante appassionata, con una punta di particolare magistralità nel colloquio ultimo con Essex: un chiaro riferimento all’interpretazione di Bette Davis, ma dove la regia, con un tocco di particolare perfidia le ha fatto indossare una vestaglia rosa con sottoveste, molto simile a quella indossata da Helen Mirren nel recente film “The Queen”, dove l’attuale sovrana viene analizzata nelle sue umane debolezze di fronte all’evento della morte di Lady Diana.
Meraviglioso il tenore Toby Spence, nel ruolo di Roberto Devereux. Il suo timbro squillante, virile, ha donato una peculiare connotazione all’amante di Elisabetta. Non un timbro evanescente, come si è abituati a sentire spesso nelle opere di Britten, ma una voce di ampio tonnellaggio, capace di sfumature liriche preziosissime come nei duetti già citati con la regina, e capace di realizzare quella insinuante doppiezza con un’enfasi del tutto particolare: le sue invocazioni “Queen of my love”, piene di ardore passionale, risuonavano nella sala come colpi al cuore. Perfetto anche dal punto di vista scenico, Toby Spence si è dimostrato anche un ottimo ballerino, arrivando persino a sollevare la moglie Frances. Dal punto di vista drammatico la sua adesione al personaggio è stata pressoché totale, giovane, biondo, passionale ma cinico: l’abbraccio quasi voluttuoso al trono nel finale del duetto con Elisabetta è stato un momento di grandissima intensità che raccoglieva tutta la sua interpretazione.
Tutti bravi gli altri interpreti, con particolare menzione per l’affascinante, sia vocalmente che scenicamente, Kate Royal nel ruolo di Lady Penelope Rich. Ottima Patricia Bardon nei panni di Frances Devereux. Molto efficaci Jeremy Carpentier, nel ruolo infido del consigliere Sir Robert Cecil, Clive Bayley come Sir Walter Raleigh e Mark Stone, nel ruolo di Lord Mountjoy. Molto simpatico il menestrello cieco di Brindley Sherratt.
Alla fine della serata applausi calorosissimi e meritatissimi per tutti.
GLORIANA
autore: Benjamin Britten
regia: Richard Jones
direttore: Paul Daniel
compagnia: Royal Opera House – Covent Garden
cast: Toby Spence, Benjamin Bevan, Mark Stone, Susan Bullock, Clive Bayley, Jeremy Carpenter, Jeremy White, Kate Royal, Patricia Bardon, Nadine Livingston, Brindley Sherratt
coproduzione con Hamburg State Opera