Teatro

LONDRA, I Capuleti e i Montecchi

LONDRA, I Capuleti e i Montecchi

London, Royal Opera House Covent Garden, “I Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini ROMEO E GIULIETTA ALL’UNISONO I Capuleti e i Montecchi, composti da Vincenzo Bellini in tempi insolitamente brevi per far fronte alle richieste della Fenice che necessitava di un’opera nuova per colmare un improvviso vuoto nella stagione, è il primo capolavoro del compositore catanese che qui trova la specificità della propria scrittura e un'autentica cifra stilistica, facendo parlare i sentimenti dei protagonisti attraverso un canto elegante e raffinato in un’ opera in bilico fra neoclassicismo e romanticismo per la compostezza eterea delle melodie ed il pathos di una passione travolgente. L’allestimento di Pier Luigi Pizzi ora in scena al Covent Garden è una produzione del 1984 (allora diretta da Riccardo Muti con Edita Gruberova e Agnes Baltsa e documentata da un’edizione discografica), ma, diversamente da altre produzioni periodicamente in cartellone, è stato riproposto una volta sola, trattandosi di un titolo di appeal non immediato per il pubblico londinese e che non funziona senza due grandi interpreti. Lo scenografo ricrea con pochi tocchi una raffinata ambientazione tardo medievale di gusto preraffaellita: colonne imponenti, pannelli scorrevoli che fungono da cornici e definiscono gli ambienti, arredi monumentali marmorei immersi in una cupa atmosfera notturna ideale per accogliere un amore vietato e impossibile che, come quello di Tristano e Isotta, non può che esprimersi nel buio e nella notte. Sullo sfondo s’ intravedono squarci della città incorniciati ad arte dalle architetture del palazzo patrizio: un particolare dell’Arena, dei cipressi visti dal noto balcone, un campanile romanico. La produzione, decisamente tradizionale (ripresa da Massimo Gasparon), non offre spunti di “regia”, ma suggerisce un’ambientazione aristocratica e visivamente curata che consente di concentrarsi sul canto e sulla recitazione di due interpreti che rendono la tragica vicenda credibile ed emozionante. Elīna Garanča sorprende per l’aderenza fisica al ruolo en travesti ,un Romeo giovane ed attraente dall’intrigante ambiguità sessuale, vulnerabile e ipersensibile, col volto che s’ illumina di uno splendido sorriso espressione di un sentire naif e appassionato, o il ciglio che si solleva repentino per suggerire l’energia e la fierezza dell’impetuoso Montecchi. L’intensità interpretativa va di pari passo con quella vocale, merito di una voce flessibile ed espressiva, capace di restituire tutti i moti dell’animo. La voce ambrata è omogenea ed estesa con gravi sontuosi e acuti sicuri ben calibrati per un canto dalla dizione precisa che ipnotizza e seduce, tenendoci col fiato sospeso. Anna Netrebko (da noi ascoltata prima della maternità nello stesso ruolo di Giulietta) ritorna sulle scene con voce compatta e sontuosa, dai suoni rotondi e incantatori. Favorita dalla presenza di Elīna Garanča, con cui è evidente l’intesa , crea un personaggio intenso e drammatico, una Giulietta più matura e appassionata di quella vista a Parigi, moderna e carismatica come la cantante stessa. I puristi del belcanto potrebbero obiettare una voce “pesante”, dalla dizione di matrice slava, ma a parte qualche imprecisione, il canto è bellissimo e si piega con naturalezza a colorature, smorzature e pianissimi, come nella delicata “Oh quante volte“ o nella struggente invocazione al padre. Straordinari i duetti per la complicità ravvisabile nei gesti e reciprocità di intenti vocali e interpretativi. Le due voci respirano davvero insieme, si armonizzano per colore e timbro fino a fondersi, divenendo una proiezione dell’altra in un gioco di echi sempre più estatico, per opporsi all’unisono alle voci degli antagonisti ed esprimere una passione assoluta e isolata di due anime unite dall’eufonia. Non allo stesso livello il resto del cast, il Tebaldo di Dario Schmunck ha voce leggera e timbro non particolarmente seducente e, anche se canta correttamente, la voce piccola è schiacciata dal confronto con le protagoniste; la sua prima aria suona debole e non trova giusto rilievo. Fra le parti di fianco Eric Owens è un Capellio di voce possente, ma con limiti di dizione, Giovanni Battista Parodi è un Lorenzo corretto, ma piuttosto freddo e poco caratterizzato. Mark Elder imprime all’orchestra un andamento sostenuto e teatrale nei movimenti più concitati, ma dà anche libero spazio al canto e alla melodia con una direzione calibrata sulle voci, di cui sostiene le linee melodiche con flessibilità e naturalezza. Buoni gli interventi solisti dell’orchestra chiamati a duettare con le protagoniste. Meno convincente del solito il Coro della Royal Opera, penalizzato da un movimento scenico inerte e poco curato. Serata di festa per le due dive, a cui un pubblico decisamente internazionale ha tributato un caloroso trionfo. Visto a Londra, Royal Opera House Covent Garden, il 5/03/09 Ilaria Bellini