Londra, Royal Opera House Covent Garden,”Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi
IL BALLO ALLO SPECCHIO
Il ballo in maschera, inizialmente ambientato alla corte di Gustavo III di Svezia, per poter ottenere l’autorizzazione della censura che osteggiava l’argomento di un regicidio europeo fu spostato negli Stati Uniti alla fine del ‘600 e il re fu trasformato in un conte. In realtà ambientazione e contesto politico sono ininfluenti, poiché Verdi si concentra più che mai sul dramma psicologico derivato dai sentimenti ed il tema centrale dell’opera è l’impossibilità di amare ed essere felici.
Mario Martone, regista della produzione riproposta al Covent Garden, ambienta l’opera durante la guerra di secessione per rafforzare la componente americana e conferire al personaggio di Riccardo le qualità dell’uomo nuovo d’oltreoceano, vitale, coraggioso e fiero. Assecondato dalle bellissime scene di Sergio Tramonti e dai raffinati costumi di Bruno Schwengl, Martone firma una regia di grande impatto visivo, più cinematografica che teatrale, più attenta ai movimenti delle masse che alla recitazione dei cantanti, però penalizzata da lunghi cambi scena. Come in un set cinematografico vediamo scorrere ambienti diversamente caratterizzati per struttura e atmosfera: l’antro di Ulrica è uno spazio vuoto delimitato da impalcature grigliate a tutta altezza, attraversate da un sistema di scale lungo le quali si muovono in filigrana fruscianti figure femminili per suggerire il senso di mistero e di attrazione che genera la fattucchiera, un po' teatro elisabettiano un po’ West side story. “L’orrido campo” è una distesa di macerie, degradante e profonda, che rende particolarmente efficace l’entrata in scena dei personaggi dall’alto con piani visivi sempre più ravvicinati. Una grande croce si staglia fra i resti di una chiesa di cui sono rimaste solo le mura per comunicare un senso di morte e patibolo. Ed ecco il momento clou: uno specchio immenso cala come un sipario per isolare l’assolo di Riccardo del terzo atto, riflettendo con bagliori di oro vecchio i palchi del teatro; sulle note che preludono al ballo lo specchio ruota di 45° verso l’interno e riflette, oltre a quanto avviene sul palcoscenico, ciò che ha luogo in una seconda buca collocata dietro il palcoscenico, dove su di un tappeto rosso suonano alcuni orchestrali e prendono il via le danze dei ballerini. L’effetto ottico è sorprendente e caleidoscopico: tutto è ballo e gira la testa nel vedere il turbine di abiti da sera che s’intrecciano in valzer leggeri in un gioco di rifrazioni e riflessi. Una scena di massa di tale bellezza che vale da sola lo spettacolo.
Ramòn Vargas, nonostante il ruolo di Riccardo sia un po’ al limite per la sua vocalità e si avvertano momenti di stanchezza, spicca su tutti gli altri per lo stile, il fraseggio curato e una dizione esemplare. Quasi a sorpresa dimostra grande disinvoltura scenica nei momenti brillanti e la sua voce si piega con leggerezza all’ironia faceta e la straordinaria morbidezza timbrica esprime tutto lo slancio e la cantabilità della passione. Peccato che l’Amelia di Angela Marambio non sia di pari livello. La cantante cilena infatti, se pur dotata di notevoli mezzi, tende a cantare tutto forte senza alcuna differenziazione e viene meno quella progressiva compenetrazione fra voce e anima che caratterizza il rapporto amoroso fra Amelia e Riccardo. Meglio gli assoli, in particolare “ Morrò, ma prima in grazia“, dove trova pianissimi e giusta modulazione. Dalibor Jenis (Renato) ha una presenza scenica autorevole e, dopo un inizio poco a fuoco, anche la voce acquista maggiore spessore e capacità di chiaroscuro. Elena Manistina è un Ulrica potente e sinistra, scenicamente riuscita, ma si avverte una tendenza enfatizzare i gravi a scapito della bellezza timbrica. Dizione a parte, Anna Christy è un Oscar credibile e disinvolto. Nelle parti di fianco si distingue Giovanni Battista Parodi, Samuel eccellente per presenza e voce possente; modesto Vuyani Mlinde nel ruolo di Tom.
Maurizio Benini adotta una direzione dai tempi molto lenti, che nuoce alla tensione drammatica e penalizza il canto, anche se ha il merito di sottolineare i chiaroscuri orchestrali e gli interventi degli strumenti solisti.
Buon successo di pubblico per uno spettacolo della migliore tradizione che continua a piacere e che merita la riproposta.
Visto a Londra, Royal Opera House Covent Garden, l'11 luglio 2009
Ilaria Bellini
Teatro