Teatro

L'OPERA LIRICA TORNA NEI TEATRI DI PROVINCIA: ESPERIMENTO A CATTOLICA E ROVERETO

L'OPERA LIRICA TORNA NEI TEATRI DI PROVINCIA: ESPERIMENTO A CATTOLICA E ROVERETO

C'era un tempo in cui le opere si facevano anche nei piccoli teatri di provincia - sale da 200-300 persone al massimo, per dire - con una buca orchestrale minima. Facendo di necessità virtù, l'orchestra era costituita da una ventina di strumentisti (quando andava bene) e una compagine di altrettanti coristi. Tanto bastava, sino alle soglie del Novecento ed oltre, per mettere in scena non solo ad esempio le farse rossiniane - lavori geniali e di ridotte pretese - ma anche i grandi lavori di repertorio come Barbiere di Siviglia, Lucia di Lammermoor, Trovatore. Un esperimento simile l'ha tentato l'Associazione Musicale Praeludium programmando due atti unici - Il tabarro e Cavalleria rusticana - ed affidandoli alla brava e duttile formazione Ensamble "Salotto '800", fondata da Leo Nucci. Cinque archi (due violini, viola cello e basso) e cinque fiati (flauto, clarinetto, fagotto, tromba, corno) e una moderna tastiera per sostituire l'arpa e le percussioni. Nulla più è servito ad Andrea Dindo, direttore che collabora frequentemente con l'Ensamble, a mettere in piedi la concertazione delle due opere in questione che, dopo alcune recite nel Teatro della Regina di Cattolica, sono poi trasmigrate all'Auditorium Melotti di Rovereto alla fine di marzo. Con risultati molto diversi a seconda della partitura, perché mentre quella pucciniana - già proiettata oltre il primo Novecento, con una trama strumentale talora al limite della trasparenza - non soffre più di tanto della riduzione, acquistando anzi una ancor maggiore modernità, sino ad assumere curiosamente tinte e sonorità che richiamano ora lo Stravinskij di Petroushka e Le rossignol, ora le prime avvisaglie espressionistiche dello Schönberg di Pierrot lunaire. Indizio che quelle rivoluzionarie novità musicali - cui Puccini aveva prestato molta attenzione - non erano rimaste estranee ad una sensibilità ricettiva come la sua. La densa e turgida orchestrazione di Mascagni perde invece gran parte del suo valore, ridotta ad un'essenzialità così estrema; e appare svuotata di colori, spessore e significati. Forse tale diminutio sarebbe stata meno avvertibile, se sul palcoscenico avesse agito una compagnia solida ed affiatata, che creasse la giusta tensione drammatica; ma così non era, perché il soprano Simona Baldolini era una modesta Santuzza, Fabio Valenti un Turiddu rinunciatario, e solo l'Alfio di Omar Camata aveva una qualche sua credibilità. Né potevano tirar su il ritmo narrativo le parti secondarie di Mamma Lucia (Nadiya Petrenko) e di Lola (Irene Molinari). Meglio le cose andavano in Tabarro: anche qui Omar Camata infondeva giusto risalto alla figura di Michele, Alessandro Moccia disegnava un buon Luigi, la Giorgetta di Simona Badolini appariva scenicamente convincente. Efficace la coppia formata da Siro Antonelli e Nadiya Petrenko (il Talpa e la Frugola), bene Carlo Assogna (il Tinca) e Carlo Giacchetta (il venditore di canzonette). In scena era presente il Coro Lirico "Praeludium" curato da Mirca Rosciani. La regia di Beppe De Tomasi, assistito da Renato Bonajuto, ha assolto decorosamente al suo compito, tenendo conto della esiguità del palcoscenico; le scene non firmate davano gli opportuni accenni d'ambiente.