Lucio Fontana nasce in Argentina, dove inizia l'apprendistato presso il padre scultore per poi proseguire gli studi all'Accademia di Brera, allievo di Wildt. Negli anni Trenta è ceramista ad Albisola (Savona) e nel 1946 elabora il “Manifesto blanco”, dichiarazione di poetica neofuturista per un'arte adeguata ai tempi e basata sull'unità di tempo e di spazio (l'anno seguente fonda il movimento “Spazialismo”). Nei celeberrimi “Concetti spaziali” il problema dello spazio è affrontato attraverso la perforazione o il taglio del supporto usato, mentre l'interesse per la materia ritorna a partire dalla fine degli anni Cinquanta con la realizzazione delle “Nature”, grandi masse sferoidali caratterizzate da una primordiale semplificazione delle forme.
La mostra presenta oltre 130 opere scelte attraverso tre criteri (la luce, il colore, gli ambienti) ed allestite secondo differenti monocromie, una per stanza, nell'ordine: nero, rosa, oro, rosso, bianco, giallo. Vengono riunite, attraverso l'uniformità del colore, opere diverse, “tagli”, “buchi”, “Venezie”, “teatrini”, “Fine di Dio” (ultimo ciclo di opere, ellittiche con fori praticati meccanicamente) in un percorso unitario e comparativo che permette di evidenziare l'essenzialità del procedimento dell'artista e la sua origine concettuale.
Il termine “Attese” è comune a tutti i titoli dei celeberrimi “tagli”: il taglio allude, nella sua forma di fenditura rettilinea, a una dimensione oltre la superficie della tela ed evoca uno stato di tensione e di contemplazione metafisica, quindi di attesa. All'interno del ciclo degli olii le Venezie costituiscono un gruppo di opere di formato quadrato 150x150, dedicate alla città lagunare, realizzate nel 1961 in occasione di “Arte e contemplazione” a Palazzo Grassi; Fontana usa l'oro, l'argento e il bianco per rievocare l'atmosfera della città. I “teatrini”, creati tra il 1964 ed il 1966, sono composti da una tela monocroma bucata e posta a sfondo di una cornice di legno sagomata che crea un ipotetico palcoscenico. Nel ciclo dei “Quantra”, realizzato fra il 1959 ed il 1960, ogni opera comprende un insieme di tele monocrome di forme geometriche diverse in cui ciascun elemento presenta uno o più tagli sulla superficie; tali forme possono essere composte liberamente, senza un ordine prestabilito dall'artista.
Particolarmente suggestiva la Cappella Dogale, con le “Nature” inserite come installazioni, meteore cadute sulla terra in un buio primordiale, colpite da un raggio di luce. Realizzate fra il 1959 ed il 1960 queste grandi sculture di terracotta hanno la forma di grandi palloni (così li chiamava Fontana), il cui volume è modificato dall'artista che pratica tagli e buchi sulla superficie.
Quindi un ambiente spaziale e i neon: l'artista si concentra su un impegno spaziale della luce (l'arabesco bianco/nero al neon e un lampadario di neon bianchi e azzurri), tentando di superare lo spazio attraverso l'utilizzo della luce.
Per concludere le ceramiche, dove le capacità scultoree acquisite dal padre si fondono con l'estetica dell'infinito di Adolfo Wildt, a sottolineare il forte legame di Fontana con il territorio ligure: uno strano ”Acquario” dove convivono forme diverse. Fra le rarità la “Donna che si pettina” e la “Boccia di vetro”.
Ci sono riproduzioni toccabili di alcune opere. Però nelle didascalie manca l'indicazione della tecnica e dei materiali utilizzati. All'ingresso e, essendo il percorso circolare, all'uscita, un glossario coi termini che individuano le tecniche e le caratteristiche dell'operare di Fontana. Il catalogo consente una completa riflessione sull'artista e contiene contributi di numerosi artisti. Intorno alla mostra incontri di approfondimento, corsi di storia dell'arte contemporanea, eventi musicali, proposte didattiche ed appuntamenti per le famiglie.
Genova, Palazzo Ducale, fino al 15 febbraio 2009, aperta da martedì a domenica dalle 9 alle 19 (chiuso lunedì ed il 25 dicembre), ingresso euro 8,00, catalogo Skira, infoline 010.5574064 – 5574065, sito internet www.palazzoducale.genova.it
Teatro