Una grande poltrona colorata impera sulla scena, circondata dalle luci della ribalta. Seduta, in miniatura e tormentata dai ricordi più intensi si muove lei, Misia Sert. Quella che Lucrezia Lante della Rovere incarna, sotto la guida di Francesco Zecca.
Liberamente ispirato alle memorie di Misia Sert, alle confidenze, messaggi, lettere, di Proust, Stravinsky, Diaghilev, Nijinsky, Debussy, Toulouse-Lautrec, Picasso, Ravel, Cocteau, Vittorio Cielo realizza un atto unico per dare voce ai ricordi, quei pochi fortunati che non hanno visto la distruzione nei 'momenti di rinnovamento' della Regina di Parigi. Colei che fu probabilmente la vera signora della Belle Epoque, viene raccontata con passione dall'attrice Lucrezia Lante della Rovere.
Si apre la scena e lei li chiama tutti a gran voce, mentre con un bicchiere di champagne fa ondeggiare la grazia di una mano che ha conosciuto i salotti artistici di Parigi e soprattutto, il suo che accolse i più grandi artisti dei primi del novecento lasciando che lei ne fosse la musa. 'Io non partorisco. Io-Faccio-Partorire. Gli uomini hanno bisogno di una sfinge, per partorire... la bellezza. Per diventare artisti. Io li faccio partorire. Li ho fatti partorire, tutti!' Questo è l'incipit di un lungo monologo celebrativo ed ironico sull'importanza che Misia ha avuto nella società parigina e soprattutto, la capacità che ebbe nel diventare icona di un'epoca in cui l'arte fu madre dei più grandi geni di cui noi godiamo ancora per le opere. Con maestria, la della Rovere si agita sul palco, intrattenendo il pubblico da brava padrona di casa quale fu Misia. Racchiusa a tratti nella grande poltrona colorata, come una perla nel guscio di un'ostrica tra ironia e rimpianto traccia, con un pennello eloquente, i contorni più eloquenti di quelli che lei conobbe inizialmente come talenti.
"Dicono che il mio talento sia saper annusare il talento. Dove tutti vedono un nano, io vedo un Toulouse-Lautrec. Se c'e una tizia a occhi bassi, contro il muro, io sento profumo di Cocò, nel senso che avrà per le donne, Chanel. Sono una cercatrice di geni. Una cercatrice di meraviglie umane." Una faccendiera dell'arte Misia Sert, un salotto a disposizione per giocare con la fantasia, idea resa dall'attrice con un gioco sensuale di gambe. "Con i miei occhi color malva, ho visto ora dopo ora, inevitabilmente... Pablo Ruiz trasformarsi nel mostro-Picasso. Debussy disteso sui miei divani, sognare il sesso del fauno. Cocteau fare la corte agli attori come in Marocco. Stravinsky incendiarsi nella Sagra di Primavera. Ravel ricamare musica per dispetto di Satie..."
Si concedeva carnalmente a pochi, per non conoscere il sapore amaro del dolore, senza cedere nemmeno di fronte ai componimenti di Proust per comprendere poi di averlo amato. Il libro che non finirà mai, perchè il Tempo... è infinito. Come il genio che divampa negli uomini. "Le università la chiamano 'cultura'. Io la chiamavo: averli tutti a cena da me, a casa." Eppure, questo fasto intellettuale si interromperà quando Misia conoscerà il dolore del tradimento. Ed è il punto di svolta anche della drammaturgia. L'attrice, che fino a pochi passi prima volteggiava leggeva tra i fantasmi più cari, si incupisce e sotto il peso dell'incubo, lascia il paradiso per incamminarsi verso il purgatorio impietoso della coscienza. Misia 'artisticamente' muore, indossando l'ultimo vestito realizzato per lei da Chanel, accessi orato di perle ed un cappello poco vistoso. L'ultima voce, quella che rimarrà indimenticabile nelle note di Lucrezia Lante della Rovere, mentre pronuncia ossessivamente i nomi che incarnano i suoi molteplici volti, per tenere sempre a mente che "è l'ossessione per l'arte a fare dell'artista un capolavoro".