Einn volksfeind di Thomas Ostermeier al Napoli Teatro Festival
Il brano Changes di David Bowie viene pubblicato, come singolo, il 7 gennaio del 1972. L’artista si interroga sul concetto di cambiamento come imprescindibile condizione esistenziale e sul rapporto di quest’ultima con lo scorrere inesorabile del tempo: “I still don’t know what I was waiting for and my time was running wild”. In uno dei passaggi più suggestivi del brano, Bowie ci dice: “So i turned myself to face me / but i’ve never caught a glimpse / of how the others must see the faker / I’m much too fast to take that test”; il luogo testuale è straordinario, esprime tutta la frustrazione derivante dall’impossibilità di stanare “l’altro” che vive sulla crosta del nostro corpo e, al contempo, comunica l’urgenza di un confronto, faccia a faccia, con questo stesso “straniero”. La percezione del cambiamento si pone nella dimensione spaziotemporale dell’hic et nuc, e questo fa sì che si ignori totalmente quello che si sta per diventare e che invece ci si abbandoni alla semplice constatazione di dover essere prima o poi “a different man”.
Il dottor Stockmann dell’Ein Volksfeind (Un nemico del popolo, lo spettacolo prodotto dalla storica Shaubuhne di Berlino, in tedesco con sottotitoli in italiano) diretto da Thomas Ostermeier è un uomo in grado di percepire che il mondo che lo circonda sta per cambiare inesorabilmente, si sta sgretolando sotto i colpi di una verità, ai più, troppo difficile da accettare. Egli è investito da una epifania incontrovertibile: la crisi che rode dall’interno la borghesia ibseniana e - attualizzazione non fu mai così consapevole – quella che costituisce il nostro background culturale di spettatori dell’era dell’austerity, è uno squallido tentativo, messo in opera dalle maggioranze di tutto il mondo, per uniformare e conformare l’umano secondo standard di anestetizzazione emotiva e intellettuale. Non è casuale dunque che il brano di Bowie in più scene dello spettacolo del regista tedesco sia presente come colonna sonora, suonata dal vivo dagli attori e, in seguito, come mero accompagnamento musicale off della performance: la crisi, in fondo, è anche un essere nel cambiamento. Ma i cambiamenti che prennuncia il testo del cantante inglese non sono soltanto relativi al protagonista e alla realtà che lo circonda, hanno anche un risvolto più scomodo e scabroso: sono i mutamenti imprevisti dell’opinione pubblica, degli alleati politici, delle masse, i cambiamenti imprevisti dettati da mero individualismo e interessi personali.
La lettura di Ibsen che Ostermeier restituisce è ricca di sfumature, rispettosa dello spirito del testo, ma capace anche di metterne in risalto le nuances grottesche, finanche comiche. È un solido interrogativo morale quello che viene fuori dalla messa in scena di Ein volksfeind: qual è il confine tra la maggioranza, come realtà politico-sociale, e la libertà dell’individuo; la risposta non è per nulla scontata e si sottrae con arguzia a faziose risoluzioni. Anche la fase di interazione con il pubblico, mimeticamente giustificata dall’assemblea comunale voluta dal Stockmann, è gestita dal regista e dagli attori con grande sobrietà. Il finale della pièce aggiunge nuovo significato al testo del drammaturgo scandinavo, estremizzando e riconfigurando lo statuto anfibologico dei personaggi di Ibsen. Lo Stockmann ibseniano resta caparbiamente dell’avviso di contrastare ogni sorta di corruzione e menzogna sociale che gli si parerà dinanzi dopo che l’intera comunità gli si è rivoltata contro, rifiutando, categoricamente, anche il machiavellico aiuto del suocero; non altrettanto coerente e esiziale il riottoso dottore di Ostermeier che di fronte al pacchetto azionario delle Terme, offertogli dal suocero, si mostrerà ben più titubante e incerto.