Teatro

MACBETH A REGGIO (DA BOLOGNA)

MACBETH A REGGIO (DA BOLOGNA)

Unico titolo verdiano della stagione lirica 2013 del Teatro reggiano, Macbeth mancava da Reggio da vent’anni e si può capire come fosse atteso dal pubblico. Questa nuova coproduzione con il Comunale di Bologna è stata affidata alla sapiente e pluridecennale esperienza del texano Robert Wilson, che torna a Reggio dopo la Dreigroschenoper con il Berliner Ensemble e dopo Einstein on the beach. La regia di Wilson è decisamente elegante e raffinata e si concentra su un mondo oscuro, buio, fatto di ombre e di sguardi, in cui i personaggi, rigidi e fissi nelle loro movenze, esprimono il dramma che stanno vivendo nell’essenzialità dei loro gesti e delle loro espressioni. Wilson si ispira al teatro orientale, un unione tra il teatro delle ombre indonesiano e il teatro kabuki. Anche gli stessi personaggi paiono usciti da uno di questi drammi dalle tinte fosche. Indubbiamente un Macbeth onirico, in cui la notte fa da padrona, ma in cui le splendide luci di Wilson, realizzate da Aj Weissbard si stagliano come lame sulla scena. L’essenzialità delle scene e dei gesti contribuisce a dare risalto al dramma dei personaggi. Ecco così caratterizzata in modo sublime la Lady che esprime la propria follia non dai movimenti del corpo, ma dalle espressioni del volto cereo illuminato. Alcune scene sono risultate di grande effetto visivo, il banchetto, in cui il tavolo dei commensali è formato da due linee di neon, oppure il sabba delle streghe con l’evocazione delle visioni, oppure la notte del sonnambulismo: momenti di grande lirismo scenico pur nella loro asciutta essenzialità.
Non che non ci siano delle cadute di stile, come la lettura della lettera di Lady che avviene fuori scena, per mezzo di una voce amplificata staccando troppo con l’emozione della scena. Oppure nei neon fissi sulla buca dell’orchestra e rivolti alla platea: decisamente molto fastidiosi. Quello di Wilson indubbiamente non è un Macbeth classico, ma trasforma il concetto di classico rimanendo nel solco della tradizione in una originalità indiscussa, senza sconfinare nell'astrusa incoerenza. Non meno riusciti i costumi di Jacques Reynaud, che riportano ad un Oriente medioevale, ma che potrebbe essere benissimo anche la Scozia di Macbeth.
Bravo l’uruguayano Dario Solari nel ruolo del titolo: nonostante una stanchezza palese, ha portato a termine in modo egregio la parte con voce salda, chiara e giovanile, scarso però il fraseggio. Jennifer Larmore è quasi al suo debutto in un ruolo verdiano; conosciuta ed apprezzata per il canto rossiniano, ha dato prova di essere versatile e si è imposta per la prestazione vocale, caratterizzata da un timbro aspro e graffiante e per una ottima e riuscita presenza scenica. Eccellente e solido il Banco di Riccardo Zanellato. Lorenzo De Caro è stato un Macduff credibile e dalla voce intensa. Tra i comprimari si sono segnalati soprattutto la Dama di Marianna Vinci e il Medico di Alessandro Svab: molto bravi nella scena del sonnambulismo. Ricordiamo poi: Michele Castagnaro (un domestico di Macbeth e prima apparizione), Sandro Pucci (Il sicario), Luca Visani (L’araldo), Valentina Pucci (seconda apparizione), Annalisa Taffettani (terza apparizione).

Alla guida dell’orchestra del Comunale di Bologna, il maestro Roberto Abbado dirige eccellentemente la partitura. La sua lettura dell’opera è molto drammatica e intensa, trovando sempre un suono splendido e lucente, anche se a volte pare distaccata dalla regia stessa. Buona la prova del coro del Comunale, sapientemente preparato dal maestro Andrea Faidutti.
Inspiegabilmente troppi posti vuoti nel teatro per una prima di uno spettacolo veramente interessante e appassionante; il pubblico presente ha tributato, meritatamente, diversi plausi a cantanti e allestimento.