Teatro

Magico Kissan a Santa Cecilia

Magico Kissan a Santa Cecilia

Con l’arrivo del primo freddo a salutare la puntuale calda “ottobrata” romana l’Auditorium si riempie dei primi cappotti e la stagione di musica da camera dell’Accademia di Santa Cecilia entra nel vivo proponendo il recital di Evgeny Kissin. 

Con l’arrivo del primo freddo a salutare la puntuale calda “ottobrata” romana l’Auditorium si riempie dei primi cappotti e la stagione di musica da camera dell’Accademia di Santa Cecilia entra nel vivo proponendo il recital di Evgeny Kissin.  Classe 1971, debuttante a soli dieci anni nel Concerto per pianoforte K. 466 e attivo in campo internazionale dal lontano 1985, Kissin ormai, più che un giovane prodigio, è considerato a ragione una star di fama internazionale, che, per la usuale apparizione nella stagione dell’Accademia, merita una gremita Sala Santa Cecilia. Quasi ad affermare la propria maturità, Kissin propone un programma importante fatto di grandi classici che richiamano all’orecchio del pubblico le celebri interpretazioni delle leggende pianistiche del Novecento, con cui il sicuro piglio russo di Kissin non sembra temere il confronto: la Sonata n. 59 di Haydn, la Sonata n. 32 op. 111 di Beethoven, quattro Improvvisi di Schubert e la Rapsodia ungherese n. 12 di Liszt.

L’apertura, con la Sonata n.50 in mi bemolle maggiore di Franz Joseph Haydn, non lascia dubbi sull’intenzione con cui intende affrontare il repertorio. Nel brano più antico il pianista propone un’interpretazione lontana dal classicismo e, più che sottolineare la pregevole struttura della composizione e i delicati continui richiami tematici, Kissin sembra compiacersi soprattutto del proprio suono moderno dalle forti caratteristiche tecniche: una mano destra con una pulizia cristallina che evita il legato quasi in maniera quasi forzata si contrappone a una sinistra calda e avvolgente, con il risultato di un suono di qualità straordinaria e spiccata personalità.

La potenza del pianista si esalta nel primo movimento della Sonata op. 111 di Beethoven che è affrontato in maniera formidabile con fermezza e definizione. Il secondo movimento, su cui un mare di letteratura è stato scritto e che è stato descritto come la lenta distruzione della forma Sonata da parte dell’autore, è uno dei brani di più difficile interpretazione del repertorio pianistico. L’interpretazione classicista (Wilhelm Kempff, Alfred Brendel e altri) cerca di far trasparire, nell’apparente caos, l’unitarietà e la razionalità dell’intento di Beethoven. Kissin sceglie, come era presumibile, la via opposta, enfatizzando anche qui la modernità del brano e l’infinità delle diverse possibilità espressive che il capolavoro offre. Degni di nota le atmosfere eteree che il pianista riesce a creare con il susseguirsi inesauribile di trilli nel registro acuto, facendo trattenere il respiro all’intera sala e la lentezza sorniona con cui viene affrontato il celebre “Ragtime”.

La seconda parte del concerto si apre con una mirabile selezione di quattro Improvvisi di Schubert. Kissin decide di partire dall'opera più recente, l' Op.142. Il n.1 viene gestita con estrema maturità anche perché qui si entra nel repertorio tardo romantico con un incipit beethoveniano (autore la cui poetica, come sentito poco prima, Kissin domina), che presto si mischia con un tema di una dolcezza disarmante che il Maestro ripropone senza che il macchinoso farcimento della mano destra, con la sinistra a scavalcarla e a fare da spola, riesca a sporcare. Il n.3 Op 142. invece viene affrontato con una particolare attenzione alla liricità della melodia, quasi infantile e candida nel tema iniziale. Questa stessa melodia, che va poi sviluppandosi in quelle che potremmo chiamare delle vere e proprie variazioni, dà l'occasione alla potenza di Kissin di riemergere anche in questa seconda parte del Concerto. Ed è uno spettacolo da godere.
L'improvviso Op.90 n.3 con la malinconia del suo semplicissimo giro armonico accarezza l'orecchio dell'auditore anche se suonato da un campionatore. Kissin con quelle ottave all'unisono della mano sinistra leggermente, ma sempre in ritardo, imprime al brano la sua personale firma e ogni modulazione acquisisce così il giusto peso di vera melodia al susseguirsi delle note degli arpeggi centrali.
La selezione schubertiana si conclude con l'Improvviso Op90 n.4, stuzzicante occasione per Kissin di esercitare il proprio virtuosismo con il susseguirsi di arpeggi spezzati, da lui suonati al tempo di presto, a rincorrere in questo caso un'armonia con risvolti barocchi cui va magistralmente a mescolarsi il seguente preludio centrale che il pianista interpreta con la giusta pesantezza degli accordi al basso. Con uguale facilità e leggerezza poi torna ai brillanti arpeggi del tema iniziale esaltati ancor di più dall'eccezionale strumento presente in sala, uno Steinway & Sons D274.

Conclude il concerto la rapsodia ungherese n12 di Franz Liszt. Quale occasione migliore di meravigliare il pubblico con l'agilità e la potenza che l'opera pianistica del maestro ungherese richiede? Il tema perentorio iniziale è suonato con forza con gli armonici bassi a far tremare la sala. La struttura stessa poi della forma rapsodica gli permette di mostrare al pubblico la sua spiccata versatilità nel passare dal grave e sforzato, allo scherzo brillante del tema giocoso intermedio al romanticismo più estremo del tempo di ballata che ogni tanto si affaccia. Gli accordi finali fanno balzare in piedi il numeroso pubblico romano in una vera e propria ovazione.

Un mare di applausi che Kissin sembra godersi e ricambiare con generosità con tre bis che valgono da soli un altro concerto.

 

Scritto da: Lorenzo Asti