“Venezia è una sfida alle certezze e alle evidenze. La sua storia, che spesso si confonde con la storia dell'arte, è il racconto di una continua lotta contro il tempo e gli elementi”. Così François Pinault, presidente di Palazzo Grassi, nell'introduzione al catalogo Electa della mostra (distribuita fra gli spazi rinnovati di Palazzo Grassi e quelli nuovissimi di Punta della Dogana), che intende offrire una lettura più ampia possibile del processo di formazione della collezione Pinault, intesa come realtà viva in grado di captare gli sviluppi dell'arte contemporanea e i minimi cambiamenti di un mondo in rapida evoluzione.
Uno dei motivi, forse il principale, di interesse sono gli spazi di Punta della Dogana, restaurati in modo mirabile ed allestiti in modo emozionante da Tadao Ando (già autore del rinnovo tre anni fa di Palazzo Grassi), che “con il suo enorme talento si è impadronito di un edificio magnifico e abbandonato risvegliandolo da un sonno lungo e triste” (Pinault). L'edificio, la cui fondazione risale al 1677 e che ha subito varie trasformazioni, ampliamenti e restauri nel corso dei secoli, “abbandonato da tempo e avviato al degrado, è stato salvato e recuperato nel più rigoroso rispetto degli spazi originali” (Massimo Cacciari, sindaco di Venezia nell'introduzione al catalogo Electa), testimoniando la capacità di Venezia di accogliere progetti di autori contemporanei, fra i quali mi piace citare il ponte di Santiago Calatrava e lo spazio espositivo della Fondazione Vedova ai magazzini del sale di Renzo Piano (leggi la recensione nel sito).
“L'edificio di Punta della Dogana è caratterizzato da una struttura semplice e razionale. Il volume crea un triangolo, diretto riferimento alla forma della punta dell'isola di Dorsoduro, mentre gli interni sono ripartiti in lunghi rettangoli, con una serie di pareti parallele. Con profondo rispetto per questo edificio emblematico, tutte le partizioni aggiunte nel corso delle ristrutturazioni precedenti sono state diligentemente rimosse, al fine di ripristinare le forme originali della primissima costruzione. Riportando alla luce le pareti in mattoni e le capriate, lo spazio ritrova la propria energia e rimanda alle antiche usanze marinare. Al centro dell'edificio, uno spazio quadrato occupa due navate, conseguentemente a una ristrutturazione precedente. In via eccezionale, abbiamo mantenuto questa struttura, in cui è stata inserita una “scatola di calcestruzzo” che trasforma considerevolmente lo spazio”. Tadao Ando spiega in questi termini il progetto architettonico nel catalogo Electa, basato sull'incontro-giustapposizione di elementi antichi e nuovi per una sorta di dialogo tra Vecchio e Nuovo che emoziona profondamente il visitatore. Il cemento armato lisciato e lucido, cifra delle costruzioni di Tadao Ando (che lo definisce “il marmo dell'architettura contemporanea”), è l'elemento caratterizzante, insieme ai mattoni a vista, alle capriate in legno, agli inserimenti in pietra, al vetro, a linoleum-cemento-masegni dei pavimenti, ai nuovi infissi che consentono irripetibili viste sulla Giudecca, sul Canal Grande, sul bacino di San Marco, dall'ingresso, collocato in prossimità del podio della chiesa di Santa Maria della Salute, fino allo spettacolare affaccio sul bacino marciano, ricavato sotto il torrino sormontato dalla scultura rotante della Fortuna sostenuta dagli Atlanti sopra un globo. L'intervento di Ando è misurato, volto alla conservazione della forte personalità del luogo nel rispetto dell'impianto architettonico originario: coerente con il passato e in linea con il presente, Ando disegna un'alternanza di setti in cemento armato che organizzano gli spazi espositivi e valorizzano, per contrasto, materiali ed elementi della preesistente struttura.
La mostra presenta opere della vastissima collezione di François Pinault con artisti che hanno segnato l'ultimo mezzo secolo affiancati a talenti emergenti. Riprendendo il titolo di una videoinstallazione di Bruce Nauman, in cui l'artista registra la microattività notturna presente nel suo studio e offre una visione inedita dello spazio in cui si sviluppa il processo creativo, i curatori Alison Gingeras e Francesco Bonami vogliono sottolineare la profonda analogia tra la dimensione intima dello studio degli artisti e l'appassionata visione personale del collezionista.
All'esterno, proprio sulla punta di Dorsoduro, la scultura “Boy with a frog” di Charles Ray, riprodotto anche sui biglietti di ingresso. Nella prima sala, alzando gli occhi sopra la porta di ingresso, si vede il cesto da basket in cristalli e specchi di David Hammons, che qui appare come un ripensamento contemporaneo di un classico dettaglio di interno veneziano. Molti scambiano per elemento di arredo “Blood” di Felix Gonzales-Torres, una cascata di biglie di plastica come schizzi di sangue, una tenda enorme scostando la quale si entra nella sala di fronte al cavallo impagliato, sospeso e conficcato nel muro di Maurizio Cattelan; inoltre nella sala i 100 sgabelli di resina di Rachel Whiteread, la natura morta di Luc Tuymans, il “Burlesque” di Glenn Brown, la lunga scritta sul grigio di Richard Prince. Salendo la scala “Cultural Fusion”, la strana testa di legno formata da maschere africane e lunghe corna di David Hammons.
Al piano superiore l'impressionante inferno sotto vetro dei Chapman; “Coronation of Sesostris” di Cy Twombly (dipinti in sequenza dal sole al sangue per ricordare la ferocia di Sesostris e la sua ferocia nel conquistare territori nell'antico Egitto) e in mezzo una scultura si Richard Hughes; i busti borghesi come imperatori romani di Jeff Koons e Ilona Staller al centro delle foto di Cindy Sherman; le mute opere di Charles Ray; le ristampe di pubblicità sopra tavoli di plexiglas di Fischli & Weiss; le foto di abiti-scultura di Hiroshi Sugimoto circondano “All” di Maurizio Cattelan, cadaveri a terra coperti da lenzuola, un tema contemporaneo realizzato col classicissimo marmo di Carrara; la sezione di un tronco in poliuretano fuso circondata dai monocromi di Mark Grotjahn; il terribile “Train, Pig Island” di Paul McCarthy con intorno le resine fuse di Piotr Uklanski.
All'interno del cubo di cemento armato alcune opere di Rudolf Stingel, “Alpino” (che rimanda a Che Guevara) e monocromi grigi senza titolo. Quindi, ancora al piano terra, la città moltiplicata di Mike Kelley (“Kandors Full Set”), da guardare attraverso le deformazioni illusionistiche di grandi bottiglie di vetro, alla quale è riservato un ambiente appositamente oscurato prima dello shop-coffee bar, da cui si accede al belvedere dove girano, sospesi in aria da una specie di bilancia kalderiana, il Topo e l'Orso di Fischli & Weiss. Eppoi i teschi cubisti e gli scheletri di materiali di risulta di Matthew Day Jackson; i personaggi fumettistici di Takashi Murakami che spruzzano sperma e latte; i grandi pannelli viola e neri di Sigmar Polke; gli impressionanti “uomini efficienti” di ferro e plaid di Thomas Schutte; la parete di genitali di Robert Gober con sopra opere senza titolo di Lee Lozano che ai genitali rimandano; Marlene Dumas e Cady Noland.
Alla fine del percorso una delle opere più efficaci e forti, “Una partita di calcio del 14 giugno 2002” di Huang Yong Ping, partita di calcio tra figure in burqa e soldati su un campo che pare da ping pong gravato da un asteroide con appesi pipistrelli impagliati. Unico limite, talvolta, la difficoltà di abbinare con esattezza le opere in esposizione alle didascalie. Rimando alla prossima visita a Venezia per la prosecuzione della recensione con la sezione a Palazzo Grassi.
La mostra è accompagnata da due cataloghi. Uno sull'edificio, che documenta con un ricco apparato fotografico l'evoluzione del cantiere di Punta della Dogana fino all'opera conclusa, chiudendosi con interviste a committente e architetto. Uno sulla mostra, il quale si apre con una lunga e affascinante successione di foto degli studi degli artisti presenti e riporta le opere esposte secondo la collocazione nelle due sedi espositive.
Opere dalla Fondazione François Pinault sono esposte fino al prossimo 13 settembre anche al Palais des Arts di Dinard, fra cui la discussa fotografia “Mother” di Maurizio Cattelan, immagine di papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite.
Venezia, Punta della Dogana e Palazzo Grassi, aperta a partire dal 06 giugno 2009, da mercoledì a lunedì dalle 10 alle 19 (chiuso il martedì e nei giorni 24, 25, 31 dicembre 2009 e 1° gennaio 2010), ingresso euro 20,00 (euro 15,00 un solo sito – il biglietto di accesso per i due siti è valido tre giorni; ogni mercoledì ingresso libero per i veneziani), cataloghi Electa, infoline 041.5231680 – 199.139.139, sito internet www.palazzograssi.it
Teatro