Tra pochi mesi il TEATRO I di Milano chiuderà definitivamente. Il direttore Martinelli: "Siamo di fronte a un’emergenza in cui i piccoli palcoscenici sono destinati a chiudere".
Ancora due mesi di programmazione e poi il Teatro i di Milano chiuderà definitivamente. Lo hanno annunciato ieri i direttori artistici Renzo Martinelli, Federica Fracassi e Francesca Garolla, direttamente sulla pagina Facebook del teatro.
La direzione aveva già rappresentato di trovarsi in una situazione molto complicata che sta riguardando tutti i teatri più piccoli, quelli che da sempre proseguono la loro attività grazie ai finanziamenti pubblici. Il problema è si economico, ma anche di sistema.
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In una intervista rilasciata a Il Giorno, Renzo Martinelli dice infatti: "Abbiamo utilizzato i fondi pubblici al meglio. Credo che Teatro i sia un luogo d’eccellenza, nonostante le dimensioni ridotte. Ma oggi viviamo in un contesto di pensiero unico, di fronte a un’emergenza in cui i piccoli palcoscenici sono destinati a chiudere. I costi si sono alzati enormemente, ci è impossibile lavorare. All’interno di una situazione già minata nel profondo, dove si trascinavano progetti mai sviluppati, come il nostro allargamento verso i magazzini a fianco.
Il Comune ha sempre confermato il suo finanziamento, il problema è la proporzione di quel supporto a fronte dei costi più che raddoppiati. E allora ti accorgi che da una parte non ci sono più dieci mila euro, dall’altra venti, le maestranze sono da pagare, le attività devono correre per stare nei parametri ministeriali e tu non sai più come mettere insieme le cose. Ogni dettaglio diventa un problema enorme. E a differenza di altri, anche solo dieci mila euro per noi sono questione di vita o di morte".
Il comunicato del Teatro
Si ha, a volte, la sensazione di poter attraversare o abitare lo stesso luogo per un tempo indefinito o per sempre. Questa sensazione ci ha accompagnato per molti anni, da prima che la porta di Teatro i si aprisse. Ci ha accompagnato da prima che ci fosse una gradinata, da prima che il pavimento fosse finito, da prima della prima stagione. Fin da lì.
Per anni ci siamo detti, e abbiamo detto, che il nostro lavoro era spingere il pensiero fino a quel tempo ancora da leggere che è il futuro. Immaginarci le cose che avremmo fatto, le cose che avremmo dovuto fare, le cose che sarebbero successe e le persone che avremmo incontrato. Farlo è stata una scelta, una fatica, e una grande soddisfazione.
Poter dire di aver visto entrare nel nostro teatro – senza foyer, senza camerini, alto appena quattro metri – spesso per la prima volta a Milano, Edoardo Sanguineti, Rodrigo Garcia, Stefano Massini, Forced Entertainment, Ricci/Forte, il Royal Court Theatre con Martin Crimp e Mark Ravenhill, Ontroerend Goed, come se fossimo stati molto più grandi di quello che eravamo, come se avessimo avuto una specie di ultravista che ci permetteva di intercettare scintille, è qualcosa che oggi ci fa un po’ impressione. Sarà per questo che, infatti, non lo diciamo spesso.
Poter dire che nel tempo abbiamo cercato di non abbandonare il fermento teatrale in cui si era iniziato a lavorare negli anni Novanta – tra gli altri, gli amici Motus, Masque Teatro, Fortebraccio Teatro, Fanny&Alexander, Accademia degli Artefatti – tenendo viva la storia e la memoria che abbiamo attraversato, ci fa pensare di essere stati leali col nostro passato.
Il tentativo di rinnovarci, di stare in ascolto, di tenere gli occhi bene aperti a quello che se ne stava lì, appena sotto la superfice delle cose visibili, non ancora emerso e che volevamo contribuire a mettere in luce con i nostri progetti legati alla drammaturgia ed ai giovani artisti e artiste, ci fa pensare di essere stati uno spazio di pensiero, aperto, permeabile. E non ci sembra male.
Poter dire di avere lavorato per diciotto anni ci fa credere di essere stati bravi, un poco coraggiosi, sicuramente molto testardi, nonostante le difficoltà e le stanchezze, nonostante un palco che si faceva sempre più stretto e nonostante il tempo che fa cambiare le città, le persone, le azioni, e anche noi.
Ma è solo con gli occhi del dopo che alcune cose si vedono, nel mentre, nell’oggi, le cose si fanno. In fondo, dirsi di essere stati bravi ha il sapore delle cose che finiscono. E così, appena maggiorenne, a dicembre 2022, Teatro i chiude. Abbiamo cercato di non farlo, di non deciderlo, di rimandarlo, ma ci sembra la scelta più responsabile da prendere. Non vogliamo fare male quello che sino ad oggi abbiamo cercato di fare bene.
Un progetto culturale di ideazione, di produzione e di ospitalità è fatto di tanti ingredienti, le persone che lo conducono, che lo fanno accadere, e poi le persone che lo sostengono, che lo attraversano, ma è anche condizionato dal contesto in cui si attua. Il contesto in cui abbiamo operato, in cui operiamo, è negli anni cambiato radicalmente e divenuto a poco a poco più ostile al nostro lavoro. Le sale teatrali sono aumentate e con esse gli spazi di ospitalità, in un sistema troppo competitivo per le nostre risorse umane ed economiche, i parametri, i dati quantitativi necessari per accedere ai finanziamenti pubblici e privati, sono diventati sempre più difficili da rispettare, gli spazi che abbiamo in gestione e che possiamo utilizzare sono adatti a una compagnia di produzione ma, con il passare degli anni, lo sono diventati sempre meno a una programmazione serrata, diversificata e aperta al pubblico.
Qualche anno fa, nel 2016, avevamo lanciato una campagna di solidarietà il cui motto era “Non vogliamo resistere, vogliamo esistere”. Abbiamo resistito per sei anni ancora, ma in questi sei anni abbiamo potuto esistere solo estemporaneamente. Ed è per questo, con molto orgoglio e molta felicità per le cose fatte e molto, moltissimo dispiacere per quelle che non riusciremo a fare, che chiudiamo questo lungo e, per noi, incredibile percorso.
Ma non prima di ringraziare Lela Talia, la nostra direttrice organizzativa, che è con noi da più di dodici anni ed è ed è stata uno dei tasselli più solidi del nostro viaggio. E subito dopo i nostri collaboratori, passati e presenti. Ora grazie a tutti, ma proprio a tutti, quelli che ci hanno donato tempo, confronto, cura e possibilità". Qui, ne trovate alcuni
Renzo Martinelli, Federica Fracassi, Francesca Garolla