Nell'ambito del Chigiana International Festival 2015 il grande clarinettista americano David Krakauer, impegnato in una prima esecuzione italiana d'una composizione di Osvaldo Golijov
Abbiamo ascoltato con moderato interesse la Sesta – quella in mi bemolle - delle acerbe e non memorabili 12 Sinfonie per archi, stese nel 1820-23 da un Mendelsshon ancora in età puberale. Abbiamo ascoltato di seguito, con un po' di pazienza, il severo e cattedratico Concerto grosso n. 2 per orchestra e quartetto d'archi, tardivo lavoro (1952) di Ernest Bloch, steso in uno stile composito ed intellettualoide, tra reminescenze corelliane e aspirazioni moderniste (di un modernismo, però, che già allora pareva stantio).
Ma il motivo principale che ci aveva spinto a Siena era il poter incontrare un artista poliedrico ed eclettico come David Krakauer, che con il suo clarinetto passa con disinvoltura dal classico – si accompagna con formazioni come il Tokyo String Quartet o il Kronos Quartet, spaziando con loro da Brahms a Schönberg – alla grande tradizione della musica klezmer: specialmente in veste di membro dei Klezmatics, una delle più celebri formazioni di questo genere che affonda le sue radici tra le antiche comunità israletiche dell'Est Europa, ma anche come animatore dell'ensamble da lui fondato, i Klezmer Madness.
In prima italiana era infatti in programma al Teatro dei Rozzi, nell'ambito del Chigiana International Festival, l'esecuzione di una composizione dell'argentino Osvaldo Golijov (classe 1960), musicista di stampo neoromantico pressochè sconosciuto in Italia, intitolata The dreams and prayers of Isaac the blind (I sogni e le preghiere di Isacco il cieco), brano del 1994 per clarinetto ed orchestra d'archi, ispirato alla figura di questo teologo provenzale del XIII secolo che con le sue teorie contribuì al nascere e formarsi della complessa dottrina ebraica della Qabbalah. Spunti religiosi, popolari e letterari, idee e temi musicali della tradizione ebraica – pescati a larghe mani, come par di capire, dalla tradizione yiddish – non si contano in questa vasta ed intrigante composizione, e vanno a confluire in cinque articolati movimenti. A parte il primo e l'ultimo (Prelude e Postlude), gli altri sono tuttavia suddivisi a loro volta in più momenti anche molto diversi tra loro, sino ad generare l'impressione finale di essere di fronte ad una suite formata da undici movimenti, eseguiti senza soluzione di continuità ed in un continuo variare di climax – si passa dalla accorata ed intimistica perorazione a Dio, giudice del Creato, al registro 'basso' delle bande klezmer - in cui viene lasciato anche qualche spazio all'improvvisazione del solista, come nelle cadenze della musica sette-ottocentesca.
E che solista ci siamo trovati di fronte! Krakauer esibisce il possesso d'una tecnica e di un talento musicale straordinari, amministrati con grande intelligenza, utilizzando ovviamente principalmente il clarinetto soprano ma passando senza difficoltà - ove previsto - dal piccolo al clarone: nel dipanarsi della mezz'ora abbondante che dura The dreams and the preyer of Isaac the blind, il musicista newyorkese è chiamato insomma ad esplorare, praticamente senza un attimo di sosta, ogni risorsa ed egni fisica possibilità d'utilizzo del suo strumento, dialogando con scioltezza anche con il primo violino Andrea Tacchi. Il bello è che alla fine si permette, dopo un così intenso tour de force, anche il lusso di lanciarsi in un generosissimo bis, offrendo incredibili, personali variazioni sopra un motivo popolare yiddish eseguito in un abbagliante brillio di note.
Come nella prima parte del concerto, anche in tutta questa seconda gli archi dell'Orchestra della Toscana hanno svolto egregiamente il loro compito, guidati con oculatezza, gesto sicuro e duttile maestria dal giovane direttore Jonathan Stockhammer. Americano d'origine, ma ormai di casa stabilmente in Europa.
Sala non proprio del tutto piena, come avrebbe meritato l'evento; il pubblico presente, travolto dalla bravura del clarinettista di New York gli ha riservato applausi calorosissimi, indirizzati com'era giusto in parte anche alla ORT e al suo direttore.