Teatro

Nabucco patriottico a Salerno

Nabucco patriottico a Salerno

La stagione (quasi) tutta verdiana del Teatro Municipale di Salerno tocca uno dei suoi vertici nella nuova produzione di “Nabucco”. Basato su un libretto diseguale ma di certo non banale firmato da Temistocle Solera, il dramma di ispirazione biblica assicurò al maestro di Busseto un successo immediato. La fortuna della partitura sui palcoscenici lirici di tutto il mondo continua ininterrotta fino ai nostri giorni non soltanto in virtù della costruzione serrata e della presenza di pagine memorabili, ma anche grazie alle profonde risonanze del soggetto, nel quale il destino tumultuoso dei popoli prevale sulle vicende dei singoli individui. L’allestimento campano opta per una lettura decisamente tradizionale già a partire dall’impianto scenico; Flavio Arbetti disegna prospettive monumentali, dominate da elementi simbolici essenziali e di forte impatto: una “menorah” colossale evoca il tempio di Salomone, una grata marmorea fa da sfondo agli appartamenti della reggia, possenti mura istoriate incorniciano le ambientazioni esterne, una selva di lance infisse nel suolo rappresenta la condizione psicologica di Nabucodonosor prima del rinsavimento. Entro questi spazi nitidi e grandiosi, i protagonisti e le masse compongono “tableau” tendenzialmente statici, ravvivati da costumi sontuosi che provengono da un allestimento dell’Opera di Roma datato 1991. Il regista Renzo Giacchieri trova però il modo di sorprendere gli spettatori in corrispondenza del segmento più celebre dell’opera, “Va’, pensiero, sull’ali dorate” (secondo quadro dell’atto terzo). I coristi entrano lentamente in platea e occupano il perimetro della sala, così da intonare il loro canto a stretto contatto con il pubblico; contemporaneamente fanno la loro comparsa una giovane coppia (che forse incarna lo sguardo rivolto al futuro), una famiglia ebrea in abiti primo-novecenteschi (evidente richiamo alla Shoa) e lo stesso maestro Verdi (invero un po’ kitsch) che incede con gravità e si ferma accanto al palcoscenico. Sulle ultime note del brano arrivano anche tre fanciulle ferite sorrette da altrettanti soldati malconci; le loro tuniche hanno colori di immediata eloquenza: verde, bianco e rosso, a comporre la bandiera nazionale. La prostrazione delle figure femminili rappresenta certo la durezza delle lotte risorgimentali che condussero all’Unità; ma non si può fare a meno di pensare che quel tricolore malfermo e provato alluda anche alle tristi condizioni dell’Italia di oggi, nelle quali la crisi materiale si intreccia con la perdita dei valori culturali condivisi e delle regole minime della convivenza civile. Una pioggia di cartoncini con la scritta “Viva Verdi” suggella la rievocazione risorgimentale; il pubblico gradisce, applaude a oltranza e ottiene il bis. Determinante per il successo complessivo della performance salernitana è la qualità del cast. Il baritono rumeno Ionut Pascu restituisce il complesso personaggio di Nabucodonosor con vigore e sicurezza. L’esperta Maria Guleghina affronta con determinazione e buona presenza scenica le sfide virtuosistiche della parte di Abigaille e offre un’esecuzione di qualità via via crescente, appena sporcata da lievi incertezze nelle incursioni nel registro grave. Ottima per qualità del canto e per interpretazione è la prova di Carlo Colombara (Zaccaria), il migliore in scena, giustamente applauditissimo. Bello il timbro di Domenico Menini (Ismaele), un po’ opaca la prestazione di Eufemia Tufano (Fenena). A completare onorevolmente la locandina provvedono Carlo Striuli (gran sacerdote di Belo), Francesco Pittari (Abdallo) e Francesca Paola Natale (Anna). Daniel Oren rinnova e rinsalda il proprio legame con il pubblico salernitano, che gli tributa un meritato plauso per la direzione sicura, compatta e generosa. Il coro del teatro, chiamato a un impegno cospicuo dalla partitura verdiana, ottiene un buon risultato sotto la guida di Marco Faelli.