Teatro

NABUCCO A TESTA IN GIU'

NABUCCO A TESTA IN GIU'

Il teatro Sociale di Rovigo ha chiuso la stagione con uno dei titoli che maggiormente possono caratterizzare questo centenario verdiano, Nabucco, una nuova produzione col Comune di Padova e il Bassano opera-festival. Regia, luci e costumi, tutto a firma di Stefano Poda che ci presenta un contenitore scenico chiuso da alte pareti. Dal soffitto pendono a testa in giù decine di corpi scheletrici mummificati, talvolta chiaro specchio scenico delle masse corali in scena. L’opera, che sarebbe suddivisa in quattro quadri, qui è risolta in un’unica soluzione e in una visione atemporale.
La regia di Poda racchiude in contemporanea una doppia chiave di interpretazione:
Il mio è un tipo di lavoro per persone che o hanno una cultura e sensibilità estremamente particolare, oppure sono vergini. E' un Nabucco che si apre quindi una fascia intermedia di pubblico andando oltre la tradizione, il preconcetto, il cliché e la moda. L'intento è quello di recuperare la magia dell'arte pura, qualcosa che nasce oltre la verbalità del testo. E' come la messa in latino per il credente, un mistero che supera la codifica del linguaggio.
Lo spettacolo non è iconografico e non segue la moda della trasposizione del dramma nell'epoca contemporanea. E' un allestimento che vorrebbe essere antico, per permettere a chi già conosce l'opera o a chi si accosta al Nabucco per la prima volta di riscoprire o di scoprire la partitura, e di scoprirla veramente. È un Nabucco cupo, sinistro, volutamente introspettivo il suo. Come abbiamo accennato la scena, unica per tutti e quattro i quadri, è spoglia, sinistra, una terra desolata resa ancora più spettrale dalla schiera di manichini senza volto che pendono capovolti dal soffitto. Sono - secondo Poda - lo specchio, l’anima nuda, la dimensione spirituale di ebrei e babilonesi. Visione altamente introspettiva e interiore che supera ogni riferimento geografico e storico; ci si potrebbe chiedere, però, se il pubblico abbia veramente compreso l’intenzione dichiarata dal regista di trasformare in interiore la drammaturgia di quest’opera. Bello il disegno delle luci che come lame tagliano orizzontalmente il palcoscenico, illuminandolo di sinistri bagliori. Anonimi e uguali, volutamente, i costumi.
Nel ruolo del titolo Elia Fabbian ci presenta un Nabucco determinato e fieramente potente, dal canto controllato ed espressivo. Armaldo Kllogjeri (Ismaele) dovrebbe migliorare la dizione ma la prestazione è buona nel complesso. Il polesano Riccardo Zanellato in Zaccaria gioca in casa e si è confermato credibile e dalla voce autorevole, misurato ed evocativo, con una linea di canto morbida e mai forzata. Dimitra Theodossiou è grande interprete, qui sottotono nonostante l’amplissima estensione e l’abilità nella coloratura drammatica. Buona la Fenena di Romina Tomasoni. Corretti sono apparsi il Gran sacerdote di Belo di Christian Faravelli, l’Abdallo di Massimiliano Chiarolla e l’Anna di Silvia Celadin.
La direzione del maestro Jàri Hämäläinen, alla guida dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, ci è sembrata molto corretta, senza eccessi o rallentamenti, ma ha dato ampio spazio ai cantanti privilegiando la morbidezza e la compattezza di suono. Buona la prova del coro Li.Ve. e Venezze Consort diretto dal maestro Giorgio Mazzuccato.
Teatro pieno e applausi ben meritati a cantanti e coro. Qualche riserva del pubblico sulla regia così innovativa.