La mostra ricostruisce la complessità e le identità dell’Ottocento, secolo di dolorose e radicali trasformazioni sociali e politiche vissute all’interno della grande tradizione italiana, un tempo in cui i pittori hanno reinterpretato il lento, spesso dorato, tramonto dell'ideale classico e delle regole ritenute immutabili delle Accademie, creando, in nome dei grandi ideali del Risorgimento e dei conflitti esistenziali del Romanticismo, una nuova idea di bello che corrispondesse alle inquietudini dell'uomo moderno. Il percorso segue un ordine cronologico e non tematico o regionale: si colgono perfettamente gli slanci e le contraddizioni di un’epoca di grandi attese e di profonde disillusioni e la mancanza di Gianna Piantoni, in questa occasione, è particolarmente sentita.
Il visitatore è accolto da “Maternità” di Previati, dipinto allora scomodo e di difficile decifrazione, ma significativo nell’anticipare la disgregazione del linguaggio pittorico. La prima sezione, “dall’età napoleonica all’unità d’Italia”, si apre con Canova, simbolo dell’identità nazionale, essendo egli il genio che ha raggiunto la perfezione della scultura greca. Ma mentre la scultura ha riconquistato con Canova il suo primato, la pittura cerca di percorrere strade nuove alla ricerca di una bellezza diversa, originale rispetto a quella convenzionale elaborata dalle Accademie, sempre però ispirata all’eccellenza nel disegno, confermato come il fondamento della grande tradizione classicista. Colpiscono per originalità le “Scene di scheletri viventi” di Vincenzo Bonomini.
Alla morte di Canova l’Italia perde un simbolo ma non il primato della scultura, affidato ad artisti come Tenerani. I ritratti non celebrano più la potenza del casato ma rappresentano il carattere e il mondo quotidiano, le affinità elettive all’interno della famiglia, specchio inquieto di una società che sta rapidamente cambiando (Pelagi, “Ritratto di Cristina Archinto Trivulzio con il figlio Luigi”). Con il Romanticismo si afferma un nuovo sentimento della natura che supera le convenzioni del paesaggio ideale nobilitato dai riferimenti alla mitologia e alla storia (Bagetti, “Notturno con effetto di luna”).
Nel corso degli anni Trenta torna ad essere protagonista il nudo, dove i riferimenti mitologici, biblici e letterari diventano solo dei pretesti per svelare la seduzione di una bellezza contingente e moderna (Hayez, “Venere che scherza con due colombe”). Emergono Hayez e il Piccio, artista eccentrico allora non del tutto compreso ma di cui in seguito si apprezzerà la inconsueta libertà impressionistica. Verso la fine degli anni Trenta esplodono le polemiche contro le Accademie, tradizionali centri di formazione degli artisti e cominciano ad essere criticate le convenzioni della pittura storica, genere che entra in crisi nei contenuti e nelle forme e verso cui il primo Risorgimento aveva guardato nella speranza che, attraverso gli esempi del suo passato, l’Italia potesse rigenerarsi e creare le basi dell’unità nazionale. La sezione si chiude con il “Bacio” di Hayez, icona della mostra.
La seconda sezione, “dopo l’unità d’Italia”, ha la pareti gialle (nella prima sono celesti): nel ventennio che segue l’Unità gli artisti, abbandonati definitivamente i temi del Romanticismo, rivolgono la loro attenzione alla realtà in tutte le sue manifestazioni (Borrani, “Cucitrici di camicie rosse”; Lega, “Il canto di uno stornello” e “Curiosità”). I movimenti, sorti in ambiti regionali in conflitto con l’autorità delle Accademie, dimostrano un comune interesse nei confronti dell’indagine sul vero e orientano le loro ricerche sullo spazio prospettico, sulla luce e su una nuova definizione del colore, creando un genere di pittura più coinvolgente, legato ai piccoli avvenimenti della vita quotidiana e alle problematiche sociali (Novellini, “Piazza Caricamento”; Longoni, “Riflessioni di un affamato”; Trentacoste, “La derelitta”). Il ritratto conquista la moderna funzione di rivelare i caratteri dei personaggi, inserendoli nel loro vissuto quotidiano (Miseri, “La famiglia Bianchini”; Boldini, “Beppe Abbati” e “Diego Martelli”; Cremona, “Nicola Massa”). Diversamente dal realismo oggettivo dei Macchiaioli (Fattori, “La rotonda dei Bagni Palmieri”), per alcuni il paesaggio diventa riflesso di uno stato d’animo (Induno, “Al cader delle foglie”). Lo sguardo è nuovo, quasi vìola l’intimità (Toma, “La messa in casa”; Carcano, “Una lezione di ballo”; Lega, “La lezione” e “Gli ultimi momenti di Mazzini morente”; Cecioni, “La madre”; De Nittis, “Colazione in giardino”), oppure si fa fotografico nei tagli (Signorini, “L’alzaia”; Faruffini, “La lettrice”; Fattori, “In vedetta”; Netti, “In Corte d’Assise). Sono state qui riunite le due parti di “Asfissia” di Morbelli, cruda denuncia dell’ipocrisia e dei drammi borghesi, un dipinto asciutto, rigoroso, privo di patetismo.
Nell’ultima parte emerge il divisionismo, un linguaggio rivoluzionario che scompone il colore nelle sue componenti pure, basato sulle moderne teorie della visione ottica. L’intensa “Sirena” di Sartorio cattura lo sguardo ma purtroppo è pubblicata a rovescio nel poderoso catalogo. Il percorso si chiude con “Quarto Stato”, esposto scenograficamente lungo lo scalone: i lavoratori in marcia, dalle sembianze fiere e nobili come i filosofi greci della “Scuola d’Atene” di Raffaello, sono il manifesto delle speranze in un mondo nuovo, le speranze con cui si chiude l’Ottocento.
Roma, Scuderie del Quirinale, fino al 10 giugno 2008, aperta da domenica a giovedì dalle 10 alle 20, venerdì e sabato dalle 10 alle 22,30, ingresso euro 10,00, catalogo Skira, infoline 06.39967500, sito internet www.scuderiequirinale.it
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