Teatro

PARIGI, Il flauto magico

PARIGI, Il flauto magico

Parigi, Opéra Bastille, “Die Zauberflöte” di Wolfgang Amadeus Mozart UN FLAUTO E DODICI MATERASSI Il Flauto Magico è un ‘opera “ambigua” dalle molteplici chiavi di lettura, favola per bambini, opera massonica, féerie metafisica, Singspiel popolare. Opera leggera e filosofica al tempo stesso, “magica“ per le sue zone d’ombra, per i misteri connessi alla sua creazione e alle recondite intenzioni di Mozart, per quanto c’è di contraddittorio, irrisolto, incoerente. E nel segno della coerenza dell’incoerenza è il Flauto Magico creato dalla Fura dels Baus nel 2003 per la Ruhrtriennale, il Teatro Real di Madrid e l’Opéra Bastille, dove ora torna, riveduto e corretto, in una ripresa curata dallo stesso Alex Ollé e da Valentina Carrasco. Lo spettacolo è fantasioso, poetico e tecnologico, grazie al linguaggio insolito e soggettivo proprio della compagnia catalana ben coglie l’ambiguità dell’opera, dell’atmosfera scenica, dell’impenetrabilità dei personaggi. Nessun messaggio iniziatico e massonico, bene e male sono solo punti di vista, come i personaggi, né buoni né cattivi, che a seconda della situazione acquisiscono polarità diverse. Virtuale, onirico, surreale, questo Flauto è un videogioco azionato dai tre Knaben, con uno “start “ e un “game over” in cui la nobile coppia deve affrontare le prove come in un gioco di ruolo, ma è soprattutto un sogno: la mancata definizione spazio –temporale dell’opera giustifica la collocazione in uno spazio cerebrale in cui i personaggi non chiaramente ancorati alla realtà riscoprono nel sogno la libertà perduta nello stato di veglia. Il serpente che perseguita Tamino si traduce in imperativi morali proiettati con movimento sinuoso e frenetico sulle pareti per indicare il caos ideologico da cui fugge l’eroe per rifugiarsi nel sonno. Per rendere lo spazio cerebrale pulsante e confuso la scena modulabile e fluttuante è costituita da una scatola vuota dalle pareti a schermo in cui i bianchi materassi gonfiabili di Jaume Plensa si trasformano, generando una fantasmagoria di plastica. Dodici moduli gonfiabili 6 x 3 sono gli elementi strutturali che trasformano lo spazio creando scivoli, pareti divisorie e gradinate, per poi illuminarsi e scoprire nella trasparenza delle loro cellule mimi incastonati come fossili che scivolano flessuosi: gli animali domati dalla magia del flauto, i sacerdoti del tempio, i piccoli Papageni. Numerosi attrezzisti in camice bianco (psichiatri o ricercatori di fisiologia cerebrale) spostano, gonfiano e sgonfiano i materassi (metaforiche masse di memoria) che sembrano squagliarsi come meduse al sole, generando affascinanti creature o installazioni luminose, per poi sparire e riapparire in forme diverse alla velocità di un battito di ciglia. Una messa in scena che genera giocoso stupore, ricca di gag e di citazioni circensi in cui s’insinuano però vene d’inquietudine, non importa se non tutte le intuizioni non sono sviluppate fino in fondo, tanti e tali sono gli input. Divertente la pioggia di palline che trasforma un recinto metallico in una piscina di palline, dove affondano e casualmente s’incontrano i personaggi, funzionali i trespoli mobili azionati dai mimi che guidano il volo della Regina della Notte e dei suoi saliscendi vocali, come pure le imbracature calate dall’alto per appendere, oltre ai materassi, anche Pamina alla ragnatela della rabbia materna. I video di Franc Aleu sono parte integrante dello spettacolo e, oltre a proiettare versi di portata filosofica più o meno attinenti, restituiscono immagini frammentate derivate dal mondo scientifico, ricomposte in modo aleatorio per contribuire alla soggettività della percezione o proiezioni dei personaggi ripresi da altre angolazioni per aumentare l’effetto straniante e surreale. Rispetto alla prima esecuzione la ripresa, nonostante le voci amplificate nei dialoghi parlati e qualche piccola variazione, risulta più tradizionale all’ascolto e, depurata dalla tanto contestata inserzione di voci recitanti i poemi del catalano Rafael Argulol al posto dei dialoghi originali, acquista in concisione. Thomas Hengelbrock si adegua alla mobilità scenica con una direzione flessibile e contrastata che rivela lo stile e l’esperienza barocca, ma a livello di suono non è sempre assecondato da un’orchestra non sufficientemente leggera e povera di colori. Omogeneo e di buon livello il cast, che dimostra grande capacità di coordinazione per adeguarsi al continuo divenire scenico. Tamino è Shawn Mathey (voce lirica e precisa) che forma con la dolce e sensibile Pamina di Maria Bengtsson (linea di canto pulita) la nobile coppia di eroi. Buoni doti attoriali e musicali per Russell Braun, un effeminato e pavido Papageno dalle unghie laccate di rosso e pelliccia di piume, che trova in Maria Virginia Savastano un’ironica Papagena di bel timbro che gli si addice. Erika Miklosa è nota al pubblico internazionale per il ruolo della Regina della Notte che frequenta abitualmente e di cui restituisce, oltre al giusto temperamento, picchiettati incisivi ma sempre molto musicali e precise colorature. Kristin Sigmundsson è un Sarastro screziato dal dubbio dalla voce profonda, ma non sempre a fuoco. Wolfgang Ablinger Sperrache è un Monostatos heavy metal capace di squarci di tenerezza. La parte recitante è affidata al veterano José Van Dam, sempre penetrante per lo sguardo magnetico e l’incisività del parlato. Ben assortite le tre dame Iwona Sobotka, Katija Dragojevic e Cornelia Oncioiu, un incrocio fra le figlie del Reno e la parodia di film di James Bond. Alla fine tantissimi applausi, ma anche dissensi, per un Flauto Magico da vedere e godere e che continua a dividere il pubblico. Visto a Parigi, Opéra Bastille, il 22/11/2008 Ilaria Bellini