Teatro

PISA, NOZZE DI FIGARO CON GIOVANI

PISA, NOZZE DI FIGARO CON GIOVANI

Quando ai primi del 1786 si accinge a comporre “Le nozze di Figaro”, con la preziosa collaborazione di Lorenzo Da Ponte, Mozart è ormai un compositore del tutto maturo ed esperto in ogni forma musicale che allora si potesse immaginare. Tutto rientra in un catalogo lungo e prezioso: sonate per vari strumenti, trii, quartetti e quintetti; serenate, divertimenti e cassazioni; concerti e sinfonie; musica sacra, e naturalmente vari lavori per il teatro. Il ruolo di creatore della ‘nuova’ opera tedesca – impresa che gli riuscirà con “Il flauto magico” – è ancora di là da venire; ma intanto è perfettamente padrone dei meccanismi e della struttura dell’opera all’italiana, appresi e collaudati sin dall’adolescenza. Da quando cioè, vagava con il padre su e giù per il Bel Paese alla ricerca di un posto sicuro e di una affermazione in campo teatrale. Un periodo di due anni circa, quello tra il 1770 ed il 1772, che lo vide prsentare sulle scene italiane il “Mitridate”, “Ascanio in Alba” e “Lucio Silla”, lavori modesti e discontinui, eppure utili per farsi le ossa in un territorio problematico come quello del teatro professionale; campo nel quale in genere un compositore, trovata una formula di successo, tendeva a reiterarla senz’altra preoccupazione che trarre il massimo vantaggio dalla propria fortuna. Altre volte Mozart aveva affrontato il genere comico e semicomico, dapprima con la precoce  “La finta giardiniera” del 1769, poi con le incompiuti tentativi de “L’oca del Cairo” e “Lo sposo deluso” (1783-84), e quindi con un piccolo gioiello come “Der Schauspieldirektor” scritto alla fine del 1785; ma è con “Le nozze di Figaro”, che dimostra innegabilmente di essere superiore a tutti gli altri compositore del suo tempo. Il lavoro è scritto con l’ausilio di un librettista di sicuro mestiere, e sotto l’innegabile influsso di due autori che in quegli stessi anni, dopo aver fatto incetta di successi in patria, primeggiavano coi loro titoli sulle scene viennesi, Giovanni Paisiello e Giuseppe Sarti. Dunque, sotto l’egida di tre autori principi dell’opera all’italiana. Però qui avviene qualcosa che nessuno si aspettava, qualcosa della cui entità ci si sarebbe resi conto ben più avanti. Se non è un miracolo, poco ci manca: perché se “Le nozze di Figaro” come opera comica costituisce una superba summa dei lessici dell’opera comica all’italiana, nondimeno essa viene edificata dal Salisburghese con quei tratti di genialità superiore e di inarrivabile musicalità, che la collocano ad un’altezza stratosferica rispetto anche alle migliori partiture dei rivali italiani.
Difficoltà rappresentative non ne presentano, “Le nozze di Figaro”, per il carattere lineare dei personaggi, e per una trama costruita con estrema abilità; sì che ogni evento cade a proposito, ha uno sviluppo logico ed una opportuna collocazione nel contesto generale. Come opera possiede cioè quel che si usa dire, in parole povere, un meccanismo teatrale perfetto. Musicalmente, è una miniera di invenzioni tematiche e di preziosismi strumentali; dal punto di vocale, come sempre nel genere ‘leggero’ (contrapposto come tale al melodramma serio e paludato), non vi si richiede tanto l’abilità virtuosistica in sé, quanto piuttosto profusione di buon gusto, voce gradevole e versatilità interpretativa. Motivo per il quale risulta genere d’elezione per giovani interpreti, come appunto in questa edizione pisana che vedeva in azione alcuni allievi del Laboratorio Lirico Progetto LTL Opera, la scuola di formazione artistica che da dodici anni è sostenuta in stretta collaborazione dai teatri di Livorno, Lucca e Pisa. Un’occasione come questa è sempre attraente per chi ama l’opera, e cerca di scoprire nuove voci; ma come ovviamente è lecito attendersi, si sono incontrate personalità promettenti accanto ad altre che paiono meno interessanti. Il baritono lèttone Valdis Janson – ottimo Conte d’Almaviva - si è diplomato a Parma una decina d’anni fa, e sta cercando di aprirsi una sua strada. Ha bella presenza, voce importante, canto elegante e buona tecnica specie nel fraseggio, ed infine una dizione perfetta: merita senz’altro l’augurio di una buona carriera. Doti analoghe si ripropongono, seppure in misura un tantino inferiore – ma qui ritroviamo una minor esperienza sul campo, ed una personalità da mettere ancora a fuoco - nel caso del baritono napoletano Italo Proferisce, interprete di un Figaro sicuro di sé e molto simpatico. Il soprano portoghese Rita Matos Alves è parsa una Contessa appropriata, per la dolcezza melanconica infusa al personaggio, e per la grazia notevole dei suoi interventi solistici; il soprano ligure Claudia Sasso ha delineato una Susanna aggraziata nella figura, ma non troppo incisiva nella linea di canto; privo di carattere il Cherubino di Emanuela Grassi, specie nei debolissimi recitativi; lodevoli la Marcellina del mezzosoprano Elisa Barbero ed il Bartolo del baritono siciliano Giovanni Di Mare; Enrico Bindocci interpretava sia Don Basilio, sia Don Curzio; Claudia Muntean è stata un’aggraziata Barbarina.
Concertazione e direzione erano nelle capaci mani di Francesco Pasqualetti, attuale assistente di Gianandrea Noseda; in buca stava l’Orchestra Arché, composta in prevalenza di giovani strumentisti toscani. Il primo ha impostato una lettura scorrevole e vivace, curata nello strumentale e con un ottimale rapporto con le voci; la seconda è stata all’altezza del compito – un plauso in particolare ai fiati - assecondando in ogni momento la sua visione generale. Il Coro Lirico San Nicola, diretto da Stefano Barandoni, ha svolto correttamente i suoi brevi interventi.
La regia di Lev Pugliese non usciva dagli schemi consueti, assecondando con garbo un placido scorrere della storia, e sostenendo con criterio e prontezza ogni episodio musicale.
Più stimolante invece il recupero di una storica creazione di Camillo Parravicini (1902-1978), valido scenografo già collaboratore dell’Opera di Roma, del Festival di Spoleto e della Scala di Milano, e prosecutore del padre Silvano nell’attività dell’attivissimo laboratorio di famiglia che cessò di fatto con la sua morte. Queste sue scenografie per il capolavoro mozartiano sono di carattere estremamente tradizionale, risalenti ad una cinquantina e forse più d’anni fa, rappresentative di un gusto artistico ormai dimenticato. Molto precise nel dettaglio, raffinate nell’esecuzione pittorica e dall’effetto generale assai gradevole (credo siano state utilizzate anche da Luchino Visconti), sono state conservate da un appassionato collezionista, e recuperate per l’occasione dal consulente artistico del teatro pisano, Marcello Lippi. In tempi di messe in scena ultra moderne, vederle riutilizzate e fondersi perfettamente con l’ambiente antico della bella sala pisana, creava un effetto veramente singolare. Naturalmente, anche i costumi – non firmati - erano di impronta classica, inserendosi in tal modo a dovere nella visione generale dello spettacolo.
Sala gremitissima in entrambe le recite, successo caloroso per tutti gli interpreti.