Teatro

'A porte chiuse', nuovo lavoro di A. Adriatico, in prima assoluta a Vie Festival

'A porte chiuse', nuovo lavoro di A. Adriatico, in prima assoluta a Vie Festival

Il 13 ottobre ha aperto il Vie Festival "A porte chiuse. Dentro l'anima che cuoce", il nuovo lavoro di Andrea Adriatico, ispirato a Jean-Paul Sartre, che inaugura la "stagione postmoderna" di Teatri di Vita, dedicata a Pier Vittorio Tondelli. Lo spettacolo, presentato in prima assoluta, sarà in scena fino al 18 ottobre.

Giovedì 13 ottobre, prima giornata di VIE Festival, è andato in scena, in prima assoluta A porte chiuse. Dentro l’anima che cuoce, il nuovo lavoro di Andrea Adriatico, ispirato a Jean-Paul Sartre, che inaugura la “stagione postmoderna” di Teatri di Vita, dedicata a Pier Vittorio Tondelli. La pièce è una coproduzione di Teatri di Vita e Akròama, in la collaborazione dei Teatri di Bari, la drammaturgia è a cura di Andrea Adriatico e Stefano Casi ed è interpretata da Gianluca Enria, Teresa Ludovico, Francesca Mazza e Leonardo Bianconi, e due special guest Angela Malfitano e Leonardo Ventura.

Lo spettacolo, in replica a Teatri di Vita fino al 18 ottobre, rientra nel progetto Atlante: "progetto cervicale per chi soffre di dolori al collo, dolori da peso del mondo”, che si sviluppa attraverso gli spazi urbani. Dopo Bologna, 900 e duemila, prima tappa di “Atlante” negli spazi monumentali del capoluogo emiliano, ecco lo spazio tutto interiore e domestico di A porte chiuse, seconda parte del progetto.

In scena due donne e un uomo, rinchiusi in un salotto per l’eternità; quel salotto elegante e perbene è l’aldilà, e la loro convivenza è la condanna dopo la morte, perché “l’inferno sono gli altri”. Jean-Paul Sartre scrive “A porte chiuse” (“Huis clos”) nel 1944, firmando uno dei capolavori della drammaturgia europea: un serrato dialogo fra tre morti che protraggono la loro pena semplicemente rigettandosi in faccia verità scomode, una metafora delle relazioni sociali e della stessa identità, formata dalla prospettiva degli altri. Un’intuizione che rimane sempre potente per la sua capacità di descrivere i rapporti umani, e dunque le aberrazioni e forzature del giudizio altrui, anche 70 anni dopo, nell’epoca in cui il “controllo” dell’altro passa impietoso e violento attraverso i media e i social network, definendo un “inferno globale” che è l’ambiente in cui viviamo. Andrea Adriatico ha preso in mano quel testo per rileggerlo con gli occhi di un regista contemporaneo, convincendosi che la lezione del drammaturgo-filosofo francese poteva essere riproposta mettendo sotto i riflettori gli "inferni" che attanagliano l'uomo di oggi: ne è nato uno spettacolo che non attualizza Sarte, come si fa con una tragedia greca, ma ad esso si ispira.

«Credevamo di fare un lavoro su Sartre e invece è risultato qualcosa di completamente diverso – spiega Stefano Casi che ha riscritto il testo con Adriatico -  È uno spettacolo sui dolori dove l'inferno non è qualcosa che ci attende dopo la morte, ma qualcosa che accade adesso: è la realtà della vita. Si porta in scena un microcosmo di piccoli e grandi inferni che viviamo quotidianamente». Rimangono invariati i personaggi, due donne e un uomo, che Sartre condannava alla convivenza in un salotto borghese, sottolineando che «l'inferno sono gli altri», mentre ora sono catapultati nell'attualità. «I personaggi sono della nostra epoca, ma del testo originale rimane un'isteria relazionale – aggiunge Casi - Viene a cadere l'idea del gioco al massacro di Sartre, la condizione per cui ciascuno è causa del dolore degli altri, per lasciare posto ad una nuova scena dove i personaggi sono portatori di una sofferenza di cui non si rendono conto, derivante dall'emergenza dell'attualità».

Dopo aver affrontato e sviscerato gli “inferni” di Copi, Elfriede Jelinek, Koltès, Beckett o Pasolini, Andrea Adriatico approda all’opera più esplicita riguardante la pressione sociale come fonte di sofferenza per l’uomo della nostra epoca.