Il grande violinista russo Boris Belkin, impegnato nei masters estivi dell'Accademia senese, in un concerto del Chigiana International Festival 2016 affronta un capolavoro della musica russa del '900.
Nei quindici anni di volontario allontanamento dalla Russia, trascorsi viaggiando in lungo e largo per gli Stati Uniti e l'Europa – anni dal 1918, allorquando scoppiò la sanguinosa guerra civile, sino al 1933 quando le acque si calmarono permettendo il definitivo rientro in patria - Sergei Prokof'ev raggiunse come pianista, cimentandosi in varie ripetute tournée, una significativa rinomanza. Di pari passo anche in veste di compositore andò consolidando la già notevole stima acquisita in passato; un apprezzamento testimoniato dalle molteplici commissioni che riceveva da più parti. Tra queste, quella di una Sonata per violino e piano, nucleo iniziale di quello che poi sarebbe divenuto invece una delle più popolari creazioni di Prokof'ev, il Secondo Concerto per violino e orchestra in sol minore op. 63, chiestogli da Robert Soëtens. Lavoro poi eseguito per la prima volta il 1° dicembre del 1935 a Madrid dal violinista francese con l'Orquesta Sinfónica de Madrid diretta da Enrique Fernández Arbós. Fu questa l'ultima commissione occidentale per Prokof'ev, che ritornato con entusiasmo in Russia vi avrebbe ricevuto in seguito molti riconoscimenti ufficiali – tra cui l'ambitissimo Premio Stalin - ma pure dolorose umiliazioni e feroci stroncature (e qualche volta conosciuto persino la fame, come avrebbe poi ricordato il grande violoncellista Mstislav Rostropovic).
Il Secondo Concerto per violino e orchestra racchiude un Andante assai – brano tra i più melodici e cantabili di Prokof'ev – tra due movimenti veloci che ci riportano al lato più mordente, istrionico e dinamicistico del musicista russo; e che prevedono una capacità virtuosistica ai limiti del funambolismo. Un funambolismo, però, per così dire ben ragionato a freddo, e quindi pienamente consapevole. Nessuno problema in vista quindi, per un violinista del livello di Boris Belkin che, accompagnato a puntino dall'Orchestra della Toscana guidata da Jonathan Stockhammer, ha consegnato nella Chiesa di Sant'Agostino in Siena - eravamo nell'ambito del Chigiana International Festival 2016 - una esecuzione decisamente infuocata di quei due movimenti estremi, ed una lettura affettuosa e teneramente meditativa dell'Andante.
In definitiva, Belkin ci ha offerto tutto quello che era lecito aspettarsi da un solista del suo calibro: tecnica assolutamente impeccabile, un suono strumentale ora olimpicamente nitido ora lussureggiante e sfarzoso, sapendo calare su tutto quel calore umano, alieno da ogni cerebralismo, che contraddistingue il suo stile esecutivo. Suscitando alla fine, va da sé, l'esaltato entusiasmo del pubblico presente.
In apertura, Stockhammer e l'Orchestra della Toscana ci avevano offerto l'Ouverture op. 62 per la tragedia Coriolano di Heinrich von Collin, ed in chiusura la Settima Sinfonia op. 92 , due capolavori beethoveniani cronologicamente abbastanza vicini. Assai riuscita l'esecuzione della prima, breve pagina del genio di Bonn, resa in tutta la sua corrusca e fosca severità. Un po' meno valida la lettura di quella che Wagner definì con felice intuizione «l'apoteosi della danza», tanta è la ricchezza di movenze e turbinosi ritmi di danza - specie nella frenetica apoteosi dell'Allegro con brio finale – avendo riscontrato poche sottigliezze ed un corto respiro offerti nell'affrettata lettura del direttore statunitense. Specie nella resa della pagina forse più bella della Settima – l'Allegretto, dal carattere di lenta e solenne marcia – che scorreva tra le volte vanvitteliane di Sant'Agostino quasi del tutto priva di quella dolente intensità che le è propria, e nell'Allegro finale privo di carattere. Un plauso, comunque, all'Orchestra della Toscana per essersi comportata molto bene.
(Concerto tenutosi nella Chiesa di S. Agostino in Siena il 25 luglio 2016, cartellone del Chigiana International Festival 2016)