Teatro

Raskol'nikov errante nei Quartieri

Raskol'nikov errante nei Quartieri

Al Teatro Nuovo e per i vicoli dei Quartieri Spagnoli, dalle tavole di una trattoria al rifugio di largo Barracche, fin dentro l'androne di un palazzo d'epoca e fra i passanti occasionali, è “apparso” il Delitto e Castigo di Dostoevskij, adattato e suddiviso in due parti ed in due serate da Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino. L'operazione intende far calare in questa atmosfera di bassifondi il romanzo, cercando di rievocarne, nei vicoli napoletani, la Pietroburgo dell'800 in cui Raskol'nikov decide di sottoporre la sua vita ad un'azione “eroica” quale quella di uccidere una vecchia, avida usuraia, e poi, per eventi occasionali, anche la sorella.

È la storia di uno scisma, quello che avviene tra l'individuo ed il genere umano, il desiderio di un bene superiore e di un male inevitabile (“Napoleone se avesse trovato di fronte una vecchia da uccidere per fare la sua carriera e grandi imprese, si sarebbe pentito?”), e della successiva incapacità di trasformare il male in bene, finché si traccia un percorso di rigenerazione quando Raskol'nikov capisce che anche se un essere umano è straordinario, non è infine differente dagli altri uomini, non può sfuggire alle conseguenza di quello che comunque resta un crimine, e che per questa sua appartenenza al genere umano deve pagare un prezzo aspro, per comprare la sua stessa vita (“Perché se gli altri sono stupidi, io non riesco a fare una cosa più intelligente degli altri? Io volevo solo Osare...”).

Accompagnati nella scenografia itinerante dalla voce di Ilaria Graziano che crea atmosfere sempre avvolgenti, Raskol'nikov e Marmeladov entrano nella taverna in cui, la prima sera, li aspettano i primi spettatori: sentirli parlare così dovrebbe servire a vivere la scena anziché osservarla, ed in questo senso osiamo andare oltre, e pensare che l'ideale sarebbe stato che tutti continuassero a mangiare e bere, ed ascoltare solo distrattamente i due, anziché voltarsi e diventare spettatori.

Già qui, però, viene da interrogarsi sul calcolo dell'operazione, perché si ha la sensazione che l'ambizione del progetto prevalga troppo sull'esito: gli spezzoni del romanzo si risolvono soprattutto in monologhi isolati in cui si perde l'evoluzione, se non se ne ha già una padronanza forte, alcuni aspetti dilettanteschi nei personaggi minori sono imbarazzanti, le parti sono molto slegate e si sente la mancanza di rapporti dialogici, oltre che una difficile gestione dell'alternanza di troppi personaggi in capo ad una sola attrice, scelta poco efficace che li ha resi infine monocordi, poco distinti e distinguibili; da ricordare l'inserimento, in tema di vinti, per l'Hotel Supramonte di Fabrizio De André al funerale dell'usuraia.

Nel secondo giorno sono stati inseriti i dialoghi più significativi: il delirio dell'interrogatorio e soprattutto il confronto/rapporto con Sonia, che lo spinge al tormento sulla divina provvidenza, fino all'angoscia del sentire che l'Opera non era stata compiuta, perché anche se aveva Ucciso, infine era rimasto dall'altra parte, non avendo varcato la soglia che gli impediva il rimorso.

La partecipazione che forse si poteva ipotizzare nei Quartieri rimane occasionale se non episodica, come quando escono gli abitanti dall'androne del palazzo e la scena ingloba anche loro, interagendo e facendoli partecipare per qualche secondo al dialogo, e rimane la sensazione che si sarebbe potuto e dovuto osare di più, e soprattutto scegliere di stare più decisamente una parte o dall'altra; aggiungiamo anche l'incertezza dell'esordio, ma restiamo soprattutto molto perplessi sul suo stesso obiettivo, a metà fra una rappresentazione di genere, alternativa piuttosto che sperimentale, ed il suo dover essere una tappa di cartello, ovvero posizionata in un segmento in cui ci si attende una maggiore osservanza dei canoni della drammaturgia.

Per la conoscenza che abbiamo di Ventriglia, soprattutto ricordando lo straordinario Otello, alzati e cammina, vera rivelazione della scorsa edizione, riteniamo che lo spaesamento e la mancanza di punti di riferimento precisi, conferiti anche dalla fisicità della sua interpretazione dei deliri interiori che si esplicano con rabbia e movimenti e ritmi a volte ossessivi, siano tutte precise scelte, davanti alle quali porre tuttalpiù una questione di aspettative, come quando ci si siede in un ristorante à la page e ci viene servito uno spiedino di lucertola: se qualcosa non va, o è nel menu, o è nell'arredamento.