Teatro

RAVENNA FESTIVAL: OMAGGIO A VERDI AL PALADEANDRE'

RAVENNA FESTIVAL: OMAGGIO A VERDI AL PALADEANDRE'

Intanto, parliamo delle emozioni, che non sono state poche nell’immenso PalaDeAndré di Ravenna, dove giunge il profumo di mare dei Lidi. Prima dell’entrata, ti accoglie uno stand dell’ENI e di IntesaSanPaolo dove sono presentati in bacheca alcuni manoscritti originali di Verdi, già appartenuti a Arturo Toscanini. Si prova un brivido, di fronte a quelle pagine ingiallite: un abbozzo dell’atto primo di “Falstaff” e la partitura autografa della ”Ave Maria” composta nel 1889 ed inserita poi nei “Pezzi sacri”, riscritta da Verdi nel 1896 di sana pianta perché l’originale s’era nel frattempo perduto; in aggiunta il lapidario telegramma («Grazie grazie grazie.Verdi», poche sbrigative parole come nel suo solito) inviato dal Bussetano a Toscanini il 19 marzo 1899 per ringraziarlo d’aver ripreso il suo “Falstaff” alla Scala, sei anni dopo la ‘prima’ del 1893. Acquisiti recentemente in un’asta Sotheby’s a Londra, non so dove andranno ma intanto sono tornati a casa,in Italia: grazie dunque ai due sponsor.
Poi arrivi in sala, e trovi circa 4.000 persone assiepate sulle gradinate collocate di fronte ed ai fianchi dell’enorme palcoscenico. Non c’è spazio libero, tutti i posti sono esauriti. Entrano i coristi, gli uomini si sistemano al centro, le donne di lato: li conti e sono all’incirca 230 – più numerose le voci femminili che quelle maschili - dal momento che sotto la direzione di Corrado Casati sono riunite le voci del Coro Teatro Municipale di Piacenza, dell’Associazione Corale Gioachino Rossini e del Coro Luigi Gazzotti di Modena, della Scuola Corale Giacomo Puccini di Sassuolo, del Coro Città di Mirandola. Infine entrano velocemente gli strumentisti, anche questi non di certo limitati dal momento che l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini – l’Orchestra creata da Muti – è qui fusa con l’Orchestra Giovanile Italiana, ed integrata da alcuni allievi dell’Istituto Superiore di Studi Musicali di Modena e Carpi. I violini erano 35, fra primi e secondi; 14 le viole, 12 i celli, 10 i contrabbassi, 29 i fiati compreso l’aulico cimbasso, 6 i percussionisti. Più due arpe e organo, per un totale di 109 strumenti, se non erro. Nell’insieme,  pubblico, coro ed orchestra costituivano un colpo d’occhio coreograficamente di grande effetto, non c’è che dire.
Ma quello che più conta è la musica: fa il suo ingresso Riccardo Muti, ed inizia a presiedere questa celebrazione tutta verdiana col suo fare ieratico e serioso, col suo gesto sobrio e misurato, portando come sempre l’orchestra che ha di fronte a sé – e questa non è ovviamente una compagine di lungo affiatamento - ad un alto livello di concentrazione, ottenendo in cambio una precisione considerevole  e colori lucidi ed ammalianti. Dopo l’esecuzione dell’Inno di Mameli con tutta la sala in piedi, ovviamente, si sono successe velocemente e senza troppe cerimonie - poco lo spazio lasciato agli applausi, nondimeno sempre scroscianti - pagine vocali arcinote e brani strumentali tra quelli più amati da Muti: la tumultuosa Sinfonia da “La forza del destino”,  «Vedi! Le fosche notturne spoglie…Stride la vampa” da “Il trovatore” con la bravissima mezzosoprano Anna Malavasi, «Forse la soglie attinse» da “Un ballo in maschera” con la limpida vocalità di Francesco Meli, quindi «Il santo nome di Dio Signore» e «La vergine degli angeli» ancora da “La forza del destino”, con il bravo basso Luca Dall’Amico ed il giovane soprano georgiano Teona Dvali. Poi è la volta di una pagina centrale di tutta la drammaturgia verdiana, vale a dire lo stupendo tête-à-tête tra Violetta e Germont padre, dispiegato magnificamente dalla Dvali e da Nicola Alaimo; il quale poi ha riscosso un secondo trionfo personale interpretando con bella eleganza «Di Provenza il mar, il suol». Ancora Meli in «O figli, o figli miei…Ah, la paterna mano» dal “Macbeth” (peccato però che non si fatta precedere la pagina dal coro “Patria oppressa»); ed infine la squillante Sinfonia dal «Nabucco», accompagnata da due momenti fondamentali dell’opera, cioè i cori «Gli arredi festivi» e «Va pensiero».  Niente bis, a dispetto di un pubblico calorossissimo e festoso che sicuramente lo aspettava come un dono dovuto. Muti è fatto così, pochi sorrisi, niente fronzoli e frou-frou; ma teniamocelo ben stretto.
Il concerto è stato replicato la sera seguente nella Piazza della Costituente di Mirandola, portando un affettuoso abbraccio del Ravenna Festival 2013 – proseguendo la tradizione dei concerti de “Le vie dell’amicizia” - alle terre emiliane martoriate dal terremoto di un anno fa.