Nato solo qualche anno fa con la direzione artistica di Gustav Kuhn, ora passata in altre mani, l’Alto Adige Festival di Dobbiaco è ormai una realtà consolidata che attira molti spettatori anche dalla vicinissima Austria. Formazione orchestrale ‘in residence’ è, tradizionalmente, la valentissima Haydn di Trento e Bolzano, anch’essa da poco lasciata da Kuhn dopo dieci anni di proficua e intensa collaborazione, presente nella maggior parte degli appuntamenti. Aperto a metà settembre da un concerto sinfonico diretto da Pietari Inkinen e dedicato a musiche di Wagner, il Festival 2013 ha trovato un appropriato epilogo nel week-end seguente, che ci ha visto presenti nella cittadina sudtirolese. Sabato 21 settembre, con una esibizione della sezione archi della Haydn, diretta dal primo violino Marco Mandolini – ineccepibile solista - ed impegnata in un programma dedicato interamente a Vivaldi, con il Concerto per ottavino in do, e “Le Quattro Stagioni”, serata a dire il vero un pochino smilza (50 minuti scarsi di musica non sono granché) ma recepita con molto interesse dal pubblico presente; domenica 22, con l’esecuzione mattutina del “Requiem” di Verdi, animata dalla Haydn a pieni ranghi e dal Coro del Teatro Municipale di Piacenza curato da Corrado Casati.
Nelle macerie della società moderna, non resta che ricordare i grandi uomini, commentava sconsolato Verdi: il quaòe dopo aver inutilmente speso tante energie per commemorare insieme ai suoi colleghi la morte di Gioacchino Rossini, volle pochi anni dopo celebrare Alessandro Manzoni, cercando nella pratica della memoria di porre un qualche rimedio alla scomparsa di un genio così tanto ammirato; «quel Santo» e quel «Grande che ho tanto stimato come Scrittore e venerato come Uomo», come egli stesso lo definiva con riverita commozione (e le maiuscole, si badi bene, sono sue). E gli eresse, tutto da solo, la solenne liturgia della “Messa da Requiem”, colossale monumento musicale di commovente intensità: anche se per Verdi – lo ha scritto Isahia Berlin – il sacro pertiene al novero delle grandezze non misurabili dall’uomo.
Direttore del “Requiem”, Andrea Battistoni: e qui vale la pena di spendere qualche parola. C’è qualche prevenzione, in qualcuno, nei confronti di questo direttore giovanissimo, il cui esordio è stato fulminante, e che sta procedendo a passi da gigante. Anche Claudio Abbado esordì precocemente – certo un po’ meno precocemente del maestro veronese, affermandosi al Concorso Koussevitzky del 1958 e dirigendo a soli 25 anni, in virtù di ciò, la Boston Symphony e la New York Philarmonic. Battistoni ha bruciato ancor di più le tappe, ma perché rimproverarglielo? Questa sua direzione del “Requiem” mi è parsa esemplare, con una partitura padroneggiata con sicurezza e inaspettata maturità. Procedendo linearmente, tutta la sua immane potenza drammatica è stata da Battistoni restituita intatta grazie ad una concertazione precissima e scattante, pervasa da un empito tragico coinvolgente, lontana anni luce dalle volute liberty di un Karajan, e vicina al virile nervosismo di un Muti e forse ancor più alla estroversione narrativa del giovane Schippers. Iintrigante sino in fondo, insomma, nella limpidezza neoclassica delle linee e nella robustezza barocca degli spessori sonori, con un’efficacia di esposizione ‘teatrale’ per la spiccata propensione a definirne esattamente i contorni monumentali. La Haydn ha supportato egregiamente questa sua visione, con una esecuzione cristallina che ha messo in risalto la piena bravura d’ogni sua sezione.
Quartetto vocale ineccepibile formato da Tiziana Caruso, emozionante nel «Libera me» finale, Giovanna Lanza e Alessandro Liberatore (bene «Liber scriptus» e l’«Ingemisco»), Dario Russo (aplomb perfetto in «Dies irae», «Mors stupebit» e «Confutatis»). Il Coro di Piacenza, curato con esemplare passione da Corrado Casati, ha dato il meglio di sé in ogni momento, mostrando grande esattezza specie nell’esaltante fugato del «Sanctus». Va detto che anche l’acustica perfetta dell’Auditorium Mahler ha giocato un ruolo importante nella piena riuscita dell’esecuzione.
Sala gremitissima, malgrado l’ora mattutina dell’appuntamento, e generose dosi di applausi per tutti gli artisti.
Teatro