Teatro

Riccardo De Luca ci fa ritrovare Cechov attraverso i giovani

Riccardo De Luca ci fa ritrovare Cechov attraverso i giovani

I classici, si sa, sono quei testi che appartengono a quegli autori che, non a caso, hanno affascinato l’immaginario collettivo di quel pubblico che nei secoli fruiva di un teatro scritto per lui e non per pochi intellettuali che, per sentirsi tali, oggi hanno bisogno di drammaturgie contorte delle quali si beano essere i pochi eletti a comprendere, generando, a nostro avviso, il grande equivoco che ha portato ad una crisi del teatro in Italia, che oggi vive una spaccatura tra gli intellettualismi sterili di cui sopra ed il becero cabaret di stampa televisiv, in cui confluiscono spettatori orfani di una prosa in cui riconoscersi.
Anton Pavlov Cechov è uno di quegli autori che, per l’appunto, vengono definiti “classici” grazie al costante appeal nei confronti del pubblico che da un secolo lo ama per l’assoluta levità ed allo stesso tempo profondità con cui ha trattato l’umano, senza mai perdere di vista il mezzo con cui si esprimeva, ovvero il teatro. Non è un caso che ancora oggi sia tra gli autori più rappresentati al mondo anche se, a causa sempre degli snobismi di cui sopra, sovente tradotto con regie non rispettose del suo intento di parlare a tutti o, per le regole di un mercato sempre più ripiegato su se stesso, impegnate a centralizzare la rappresentazione su questa o quella star che si cimenta ad esserne protagonista, dimenticando così la polifonica rappresentazione del microcosmo umano, vera forza dell’autore russo. È quindi un vero piacere per chi ama il Teatro, quello vero e non quello da pulpito peloso, assistere alle tappe di CECHOV CONTEMPORANEA MENTE, studio sulla drammaturgia cecoviana compiuto da Riccardo De Luca con gli allievi del laboratorio dell’associazione Experimenta. La forza del progetto di De Luca è, per l’appunto, quella di riuscire ad evocare sulle tavole del palco dell’ARCI di Cavalleggeri d’Aosta in Napoli, l’essenza della lezione di Cechov, e lo fa con la levità dell’autore e la semplicità di rappresentazioni scarne e scevre da sovrastrutture che portano in evidenza la grande forza dei testi. I due primi episodi di quello che promette di essere un vero e proprio viaggio attraverso le opere cecoviane sono rappresentati da interessanti messinscena del “Gabbiano”” e delle “Nozze”, due tra i più rappresentativi esempi di grande comunicatività teatrale del nostro, in cui la regia, sapientemente, riesce a restituircene le atmosfere, così distanti e così allo stesso tempo vicine fra loro, senza mai anteporsi al testo.
Va ricordato, naturalmente, che trattasi di studi sull’opera di Cechov, e che da parte del regista non viene millantata nessuna intenzione di competere con il teatro delle grandi produzioni (come purtroppo avviene in certe sale periferiche in cui, col sostegno di certi critici da blog, vengono esaltate opere approssimative e becere), ma proprio per questo il risultato appare piacevole e serenamente accattivante. Seppur in alcuni casi acerbi, i giovani attori che interpretano i personaggi ricchi di sfumature delle due commedie si impegnano in maniera esemplare e ci restituiscono due spettacoli che fanno respirare aria fresca e pulita come in certe giornate di primavera.
L’asciutta prosa de “Il Gabbiano” viene resa ancora più stilizzata dalla versatile regia di De Luca, che, in soli 60 minuti, riesce a condensare il testo originale senza far perdere una virgola della dolente storia dei suoi personaggi, ridotti a sei con l’introduzione di un io narrante (Anna Rosa Confuorto) che raccorda le scene attraverso l’ enunciazione delle didascalie e l’interpretazione dei personaggi sacrificati dai necessari tagli drammaturgici. Gli attori, essendo giovani allievi, andrebbero enunciati tutti senza distinzioni, a partire dalla già citata Confuorto per poi passare via via alla duttile Elisabetta De Luca, dal forte carisma scenico e che attorialmente ci regala una Mascia ben equilibrata sul limitare tra ironia e dramma, Michele Romano (un Semion ironico e patetico) Milena Cozzolino (cinica e fatua Irina)e Roberta De Pasquale (nel difficilissimo compito di restituire il personaggio maschile Trigorin, trasformando con misura la forte connotazione sessuale in superficiale disinteresse), ma saremmo davvero ingiusti nei confronti soprattutto di chi legge se non rendessimo nota , citandola con sincera ammirazione, l’eccellenza delle interpretazioni di Annalisa Renzulli (per la quale non troviamo altri termini per definirla se non strepitosa, nel difficile ed insidioso ruolo di Nina a cui regala la sua giovinezza e la sua assoluta fedeltà, con gestualità ed intonazione, alla grande scuola del vero Teatro) e Gennaro Maresca (un grande talento messo in gioco senza avarizia nel regalarci un Kostantin arrabbiato e disperato senza cadere in virtuosistici compiacimenti). Un ensamble, quella diretta da De Luca, che convince anche nel grande tourbillon scenico che è costituito da “Le Nozze”, atto unico ironico e sarcastico con cui Cechov ancora una volta analizza, questa volta premendo l’acceleratore dell’umorismo, a lui tanto caro, i piccoli orrori della società che gli fu contemporanea, ma che sono gli orrori anche della società di oggi. De Luca ne amplifica il linguaggio comico inserendovi citazioni del repertorio farsesco napoletano, condendolo con un vertiginoso non sense e regalandoci gag e momenti musicali divertentissimi, a cui ben si adattano i suoi giovani attori, dai già citati Renzulli e Maresca (che confermano il loro talento), Cozzolino e De Pasquale (che dimostrano, in panni maschili, quanto il teatro fatto bene renda credibile anche l’incredibile), De Luca e Romano (divertentissimi nel caratterizzare in maniera personalissima la sposa ed il capitano), ed a loro si aggiungono i giovani Maria Sperandeo, Giovanni Sicignano, Federica Magnacca ed Anna Olivieri.
Concludiamo con la considerazione che gli undici giovani attori portati in scena da De Luca riescono nel compito di farci amare ancora il teatro, certo per la loro bravura e la loro fresca passione per la scena ma, soprattutto, per la loro totale assenza di presunzione e propensione alla polemica, che, ahinoi, accompagna tanti loro colleghi, coetanei e non solo.