Teatro

RIJEKA-FIUME, MANON LESCAUT

RIJEKA-FIUME, MANON LESCAUT

Non tutti sanno che George Bernard Shaw svolse, accanto all'attività di scrittore, anche un'intensa attività di critico musicale. Quando ebbe modo di assistere al Covent Garden di  Londra alla prima inglese di "Manon Lescaut", nel maggio 1894, apprezzò assai la terza opera di Puccini - e singolarmente la sua fu l'unica voce levatasi in quel contesto a favore del lavoro - ammirandone in particolare lo spirito innovativo rispetto alla coeva produzione italiana, e l'allargamento a nuovi orizzonti culturali da parte del suo autore. «In Manon Lescaut - annotava sul periodico The World - il dominio dell'opera italiana è allargato grazie ad un'annessione di territorio tedesco». A parte la sofisticata tecnica armonica, qualità comune a tutti i compositori della Giovine Scuola, Shaw annotava poi la coerenza con la quale Puccini aveva trattato il materiale musicale e in particolare la perfetta costruzione del primo atto, lodando la notevole scorrevolezza narrativa, e come si presentasse musicalmente compatto, costruito in «un unico movimento ad episodi, invece d'essere un movimento di numeri separati semplicemente legati insieme». Ho fatto questa premessa, perché l'osservazione del grande scrittore inglese mi tornava in mente ascoltando proprio l'esecuzione del primo atto di questa "Manon Lescaut" che ha chiuso la stagione invernale del Teatro Nazionale I.Zajca di Fiume. Tra l'altro, il titolo tornava sulle queste scene a distanza di ben 79 anni dalla sua ultima apparizione, e di 117 anni dalla trionfale prima nel capoluogo quarnerino: un'assenza così lunga da avere dell'incredibile. La produzione nel suo insieme - tenuto conto dei limitati mezzi della seconda istituzione musicale croata - si può senz'altro dire complessivamente ben riuscita, e ne parliamo di seguito. Ma quello che mi preme osservare subito è come la concertazione di Nada Matošević abbia pienamente assimilato e resa evidente l'anima intima della partitura, esaltandone ogni particolare strumentale, sostenendo ogni frase vocale, ma soprattutto ponendo in rilievo la grande fluidità del racconto; e questo senza perdere mai di vista la perfetta architettura di questo primo capolavoro pucciniano. Con una lettura accurata nel dettaglio e allo stesso tempo narrativamente distesa, sopra tutto nel primo e nel terzo atto, la Matošević  ha mostrato ancora una volta di essere un direttore di classe. Viene così spontaneo chiedersi cosa potrebbe fare in veste di concertatore, se avesse a disposizione un'orchestra di alto rango, al posto della pur brava e valente compagine fiumana.
Di norma, in teatri come lo Zajica si fa ricorso agli artisti fissi; ma per i ruoli dei protagonisti sono stati convocati in questa circostanza due artisti che godono di buona fama in area slava, ma non solo. Il soprano bulgaro Gabriela Georgieva, già allieva della grande Dimitrova  e che ha fatto di Tosca un  ruolo frequente e fortunato, credo abbia qui debuttato la parte di Manon, con esiti abbastanza lusinghieri. Il ruolo è quanto mai adatto alla sua organizzazione vocale, e affrontato al momento giusto, con giusta consapevolezza. Quindi, dal punto di vista tecnico, non ci sono cose da rimproverare. Quello che a mio parere mancava però è l'immedesimazione psicologica, l'adeguarsi intimo all'anima acerba della giovinetta pronta a farsi conquistare dall'ardore giovanile di Renato; ma di lì a poco disposta a farsi sedurre dalle lusinghe dell'esistenza dorata della mantenuta di un potente signore. La sua Manon, in questo senso, era insomma a mio parere più matronale che adolescenziale, e questo atteggiamento finiva purtroppo per sminuire il notevole valore musicale del suo personaggio.
Il tenore sloveno Branko Robinšak possiede una voce calda, gradevole e molto generosa in volume, sostenuta da una emissione solida e da una tecnica assolutamente corretta. Fraseggia con una certa finezza e naturale eleganza, e con una pronuncia italiana - considerato tutto - abbastanza chiara e corretta, che rispetta ed esalta la naturale scorrevolezza del testo. Il suo Des Grieux è stato senza dubbio il personaggio più convincente della serata, esibendo quello slancio appassionato e quella giovanile virilità che danno forza a tale ruolo. Il baritono croato Siniša Hapač offriva un Lescaut convincente nella recitazione e vocalmente valido: parte non gratificante, ma fondamentale nell'economia complessiva di questo lavoro. Edmondo era affidato al tenore Sergej Kiselev, impacciato in panni così giovanili; un Geronte cinico e disincantato, ma meno senile del solito era ben reso dal basso Siniša Štork; il coretto della serenata - in bianchi frac maschili - era ben guidato dalla brava Kristina Kolar. Più o meno bene i comprimari: Mirko Čaglijević, il locandiere; Voljen Grbac, il maestro di danza; e poi Dario Bercich, Ivan Kruljac, Saša Matovina, Marjian Padavić.
Lo spettacolo era contestualizzato ai tempi moderni - diciamo un pieno Novecento - ma con molto buon senso, e senza forzature inutile. Molto fluida e coerente la regia di Janusz Kica, che ha suggerito disinvolta naturalezza agli interpreti; forse solo la scena della locanda appariva un po' sconclusionata, troppo affollata com'era di irruenti teen-agers in festa. Lineari nel disegno e luminose le scene di Marko Japelj, che suggerivano con semplici accenni i vari ambienti; i costumi di Leo Kulaš contribuivano ad attualizzare al massimo la vicenda. Pertinenti nel primo atto le coreografie di Žak Valenta, interpretate dal corpo di ballo del teatro fiumano; appropriate le luci di Zoran Mihanović. Il coro, preparato da Igor Vlajnić, si è comportato sempre molto bene.