Teatro

RIJEKA-FIUME, NABUCCO

RIJEKA-FIUME, NABUCCO

Romantica e limpida serata di della festa di San Valentino - "Valentinovo", come si dice in Croazia - in quel di Rijeka. Serata dedicata agli innamorati anche al Teatro Nazionale I. Zajca: tante le coppie giovani presenti in sala; quella davanti a me ha 'flirtato' tutti il tempo, opponendo spesso alla mia vista l'unione di due chiome generose. In scena andava il 'Nabucco' di Verdi, la cui «prima» era stata qualche giorno prima; ma il gelo siberiano, un terrificante vento di bora e la minaccia di nevicate avevano consigliato a chi scrive un saggio rinvio dell'approdo sulle coste del Golfo del Quarnero. Viaggio che comunque valeva la pena di fare, per la validità di questo spettacolo realizzato da una coraggiosa istituzione dove Puccini, Verdi, Rossini, Donizetti vengono rappresentati in lingua originale, sebbene con opportune sopratitolazioni in croato. Un tipo veramente strano, questo sovrano mesopotamico descritto nei versi di Temistocle Solera: megalomane e nevrotico, ambizioso e superbo sino a farsi pari ad un dio - anzi, un Dio blasfemo lui stesso! - ma subito dopo destinato a subire come il re Lear di Shakespeare l'ingiuria del tradimento e della detronizzazione. Riesce persino a compiere una ben strana traiettoria ideologica: dapprima combatte una guerra spietata contro un popolo che odia, ironizzando che «il Dio d'Israello si cela per tema!»; ma alla fine dopo aver concesso agli Ebrei di far ritorno «alle gioie del patrio suol», riconosce tutta la potenza di quello stesso Dio, concludendo solennemente «Ei solo è grande, è forte Ei sol». Per un musicista ancora un tantino inesperto, il libretto di Solera non sarebbe il massimo, con la sua zoppicante sceneggiatura e la modestia dei versi; ma il giovane Verdi ha la geniale intuizione geniale di assecondare questo andamento a zig-zag esaltando le conflittualità interne dei personaggi, e approntando una vera e propria opera "a pannelli" ognuno dei quali possiede una sua pertinente atmosfera, e credibilità musicale e scenica. Senza affannarsi insomma a cercare di legare a tutti i costi i singoli episodi, decide al contrario di evidenziare la differenze tra l'uno e l'altro. Una volta accettata questa scelta inusuale, quello che sbalza potente e sempre prevale è l'efficacia drammatica di ogni singola pagina musicale.
Per questo secondo titolo di stagione l'orchestra del teatro I. Zajca  è stata accuratamente preparata da Nada Matošević - rara figura di direttore donna - mostratasi come al solito un concertatore di grandi capacità analitiche: in questo caso ha inteso privilegiare il lato più appassionante e tragico della partitura verdiana, imponendo una lettura scarna e febbrile che ricorda i caldi bagliori di uno metallo arroventato. Emergevano in tal modo per grande intensità l'elettrizzante Sinfonia, letta con forte enfasi drammatica; e poi tutti gli episodi ricchi di pathos, quali il concitato concertato del primo atto, o nel secondo l'agitata invettiva «Maledetto dal Signor!» scagliata dai Leviti contro Ismaele. Sempre nel secondo atto, l'Andante e cabaletta di Abigaille, splendida pagina da primadonna era servita su piatto d'argento da un minuzioso e partecipato accompagnamento. Massima sensibilità la Matošević ha dimostrato anche nell'affrontare i momenti di cantabilità e di lirismo, come l'accorata preghiera di Zaccaria (un plauso al violoncello solista impegnato nell'Andante che la precede), oppure il dolente Preludio che precede la drammatica scena di un Nabucco recluso nelle sue stanze. Assai bene si è disimpegnato pure il coro, anche nella limpida pronuncia - in questa città si sente ancora risuonare talvolta il nostro idioma, ed è presente un teatro stabile di prosa italiano - impegnato in un'opera veramente 'corale' che lo vuole quasi costantemente in scena, al pari di un vero protagonista. Dunque, il momento sempre molto atteso di «Va' pensiero» non ha mancato di sortire il suo effetto; ma non meno bravo il coro è stato nel più difficile episodio di «Immenso Jeovha».
La compagnia di canto ha svolto egregiamente il suo compito, con l'unica eccezione del poco incisivo Ismaele di Voljen Grbac. Il baritono ucraino Yury Nechaev non largheggia in fantasia espressiva, però dona pienezza scenica al suo Nabucco, con fraseggio sciolto, buon fiato, proprietà interpretativa. Assai bene gli è riuscita in particolare l'angosciata apertura della quarta parte «Son pur queste mie membra», nella quale ha trovato tutti i giusti accenti espressivi, e reso con bellicosa fierezza la cabaletta finale. Eccellente lo Zaccaria del basso spalatino Ivica Čikeš, cantante dotato di una emissione che sa bilanciare piena morbidezza e grande potenza, realizzando così la miglior performance della serata. Parimenti apprezzabile la Abigaille della bulgara Gabriela Georgieva, valente soprano lirico-drammatico verdiano (nel suo repertorio non mancano naturalmente Odabella, Leonora, Amelia, Aida) sicura e persuasiva alle prese di tutti i gradienti espressivi: nel terzetto con Ismaele e Fenena, il suo «Io t'amava, il regno, il core» si velava di dolente malinconia, e nel complesso passo di «Ben io t'invenni, o fatal scritto», ha sfoggiato un fraseggio solido e incisivo, rendendo il suo personaggio volitivo ed aggressivo, mai però isterico. Il soprano croato Kristina Kolar ha ben reso Fenena, svolgendo con grazia la sua breve aria; Siniša Štork era il Gran Sacerdote, Sergej Kiselev Abadallo, Milica Marelja Anna.
L'allestimento riprendeva una produzione del 2003: semplice ma funzionale alla vicenda la scenografia di Dalibor Laginjia, con video proiezioni di Ivan Faktor; bizzarri i costumi di Silvio Vuličić, con un curioso design dall'astratta geometria; l'impegno registico di Ozren Prohić mi è parso modesto, senza grandi invenzioni e con scelte banali nell'impacciato movimento della masse corali. Coreografa ed assistente alla regia era Jasna Frankić Brkliačić.