Il geniale fotoreporter che documentò la Seconda Guerra Mondiale
Con 78 fotografie in bianco e nero realizzate da Robert Capa in Italia nel biennio 1943-44 per mostrare una guerra fatta di gente comune, di piccoli paesi uguali in tutto il mondo ridotti in macerie, di soldati e civili, vittime di una stessa strage, il Comune di San Gimignano, il Museo Nazionale Ungherese di Budapest, la Fratelli Alinari, Fondazione per la Storia della Fotografia in collaborazione con Opera-Gruppo Civita dedicano una mostra ad uno dei più grandi fotografi del XX secolo . L’esposizione, dal titolo" Robert Capa in Italia 1943-44" curata da Beatrix Lengyel, ideata dal Museo Nazionale Ungherese di Budapest e promossa dal Ministero delle Risorse Umane d’Ungheria, si svolgerà a San Gimignano presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” dal 5 marzo al 10 luglio 2016
Robert Capa, esiliato dall’Ungheria nel 1931, iniziò la sua attività di fotoreporter a Berlino e divenne famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arrivò in Italia come corrispondente di guerra, ritrasse la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio: un viaggio fotografico, con scatti che vanno dal luglio 1943 al febbraio 1944 per rivelare, con un’umanità priva di retorica, le tante facce della guerra spingendosi fin dentro il cuore del conflitto.
Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale dalla gente o in perlustrazione in campi opachi di fumo, fermo immagine di una guerra dove cercano, nelle brevi pause, anche il recupero di brandelli di umanità.
Così Ernest Hemingway, nel ricordare la scomparsa, descrive il fotografo: “Ѐ stato un buon amico e un grande e coraggiosissimo fotografo. Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto”.