Teatro

Roberto Azzurro e l'arte di essere attore

Roberto Azzurro e l'arte di essere attore

Una lunga stagione felice, quella che vede l’attore e regista Roberto Azzurro protagonista di molteplici progetti teatrali, tutti contraddistinti da una precisa cifra stilistica, che segue i dettami di quello che egli stesso definisce una sorta di “Dogma” sulle orme di quello che aveva caratterizzato il cinema danese alla metà degli anni ’90. Se per Lars Von Trier e compagni seguire il decalogo che si erano imposti voleva dire fare a meno di ogni effetto speciale, per purificare il cinema, sempre più ostaggio di una roboante estetica, per Roberto Azzurro, negli ultimi due anni, fare teatro significa fare a meno di costumi e scene ingombranti, di complicati effetti luce, e concentrare l’attenzione sull’arte attoriale di cui egli è alto esponente. È nata così una serie di spettacoli che, quasi tutti con l’apporto drammaturgico dello scrittore Massimiliano Palmese, trovano un loro valido prototipo nella piece “L’arte di essere povero”, ispirato all’omonima autobiografia di Boni de Castellane, una delle figure più originali del decadentismo francese. Lo spettacolo, che, oltre ad Azzurro, vede in scena due bravissimi e giovanissimi attori-cantanti quali Antonio Agerola e Marco Sgamato, impegnati in performance assolutamente impedibili, è tornato in scena a Napoli, dopo l’enorme successo riscosso lo scorso anno al teatro Elicantropo, e bissato dalla calorosissima accoglienza ottenuta, pochi giorni or sono, al Teatro Civico 14 di Caserta. Ora è la sempre attenta direzione artistica di Arnolfo Petri che ha offerto giusta ospitalità sulle tavole del Teatro Il Primo dall’11 al 13 febbraio, a questa originale piece, che si articola come una sorta di conferenza nella quale il dandy, che fu amico, fra gli altri, di Sarah Bernardth e Gabriele D’Annunzio, racconta la propria vita, tra arguti motteggi , ameni aneddoti e profonde riflessioni sulla guerra e la società a lui contemporanea (per certi versi tanto uguale alla nostra). La parabola dell’uomo che nacque benestante, divenne miliardario, grazie ad un matrimonio palesemente d’interessi, e morì solo, viene rievocata con intelligenza, senso dell’umorismo e gusto melò,  allo spettatore che non può che restare catturato dal fascino di Boni così come dal potere affabulatorio del suo eccellente interprete, il quale, dopo Hitler e Pasolini (nelle indimenticabili messe in scena di “Terrore e miserie del Terzo Reich” ed “Italietta” firmate da Carlo Cerciello), passando per Oscar Wilde (interpretato con eclatante successo attraverso la messa in scena degli originali atti del primo processo per sodomia, sempre a cura di Massimiliano Palese) e, per l’appunto Boni De Castellane, si appresta a portare in scena un altro personaggio realmente vissuto, quell’Aldo Braibanti che nel 1968 fu condannato per plagio, unico caso in Italia, del diciottenne Giovanni Sanfratello. Ritornando a “L’arte di essere povero”, vanno menzionate, oltre all’ottimo adattamento del già lodato Palmese, che riesce a riassumere in un compatto e serrato copione la lunga biografia, la scelta musicale che, tra il citazionismo ed il trasgressivo, rappresenta un’ossatura solida su cui si poggia l’interpretazione degli attori, musiche che, va detto, sono tutte acustiche ed eseguite dal vivo da Sgamato e, nel caso delle canzoni, trova eleganti interpreti in Agerola (ottimo sopranista), Sgamato e lo stesso Azzurro, che firma una regia sobria ma che non perde di vista la giusta spettacolarità che è propria del vero teatro