Teatro

SALISBURGO, DER ROSENKAVALIER

SALISBURGO, DER ROSENKAVALIER

Salisburgo, Grosses Festspielhaus, “Der Rosenkavalier” di Richard Strauss

VIENNA IN BIANCO E NERO

“Versteht Er nicht, wenn eine Sach' ein End' hat”? (“Ma non si accorge se una storia è conclusa?”), rimprovera la Marescialla al Barone: in un solo verso, nel finale dell'opera, il Rosenkavalier condensa la sua eleganza crepuscolare e chiude un poetico libretto che si apre con il celebre “Wie du warst! Wie du bist!” (“Com'eri, come sei..”) a proposito dello scorrere del tempo e della inafferrabilità di ogni cosa. Sui versi di Hugo von Hofmannsthal, Richard Strauss evoca, sul finire dell'Impero austroungarico, lo spirito del Settecento per celebrarlo, ma nella consapevolezza che il tempo dell'amore ha le sue stagioni e anche il tramonto merita un sorriso e l'accettazione serena del passato come condizione indispensabile del vivere.

Der Rosenkavalier presenta il tempo e il sentimento guardati mediante uno specchio che riflette il Settecento mozartiano e che, nella elegante ed essenziale scena di Hans Schavernoch, diventa una serie di vedute viennesi proiettate a riempire il fondale asimmetrico e a dare spazio alle varie situazioni (immagini di Thomas Reimer). Ambientazione d'epoca (ma non necessariamente legata a quel tempo preciso che è l'inizio del Novecento in cui si ebbe la prima) nei costumi di Yan Tax che cita il Settecento per il costume di scena del Tenore e nei mobili che rimandano alle linee di Mackintosh. A ben completare la parte tecnica le luci di Jurgen Hoffmann.
La regia di Harry Kupfer sottolinea l'inafferrabile scorrere del tempo ma dà un'impronta poco marcata alla produzione (elegantissima e raffinatissima) che resta statica se si eccettuano i movimenti laterali dei mobili di scena dovuti allo scorrere delle tavole del palcoscenico. I protagonisti sono poco indagati nelle mille possibilità che invece la storia offre e il risultato è di una lentezza che appesantisce il verboso libretto: i caratteri, così ben analizzati dalla musica e dalle parole, non sono sottolineati nel loro percorso interiore ma solo messi sul palco, attorialmente distaccati e manierati. Suggestivi i finali: nel primo atto la Marescialla è sola in scena davanti all'immagine di un viale con doppio filare di alberi spogli a prefigurare l'imminente consapevolezza del suo “viale del tramonto”; nel finale ultimo la solitudine della protagonista svanisce nella nebbia.

Krassimira Stoyanova è una Marescialla sontuosa nella voce e nel fisico, che riesce a rendere molto bene la consapevolezza dello scorrere del tempo e il conseguente mutare dei sentimenti; una donna che non si lascia travolgere dalla malinconia ma decide, consapevolmente, di affrontare la piena maturità con razionalità, senza tuttavia dimenticare le ragioni del cuore, che restano a una distanza accettabile, sullo sfondo, come l'accettazione della solitudine; vocalmente il soprano non è mai in difficoltà, i registri sono pieni e luminosi e la resa della frase musicale ha rara intensità nel rendere l'intimità dei sentimenti della donna piuttosto che il suo ruolo sociale.
Bravi tutti i comprimari. Nonostante un'annunciata indisposizione, Gunther Groissbock è un perfetto Barone Ochs che non scivola nel grottesco né nel caricaturale ma ha una fascinosa eleganza: prevaricatore don Giovanni piuttosto che viscido e obeso. Sophie Koch è un Octavian brillante e deciso, accanto alla Sophie carina e fresca di Mojca Erdmann con qualche appunto in acuto. Silvana Dussmann è una straordinaria Marianne anche dal punto di vista attoriale, accanto ad Adrian Erod, divertente Faninal ma debole vocalmente. Stefan Pop ha poco squillo come Cantante. Wiebke Lehmkuhl e Rudolf Schasching sono appropriati come Annina e Valzacchi. Bene anche tutti gli altri cantanti della lunga locandina.

Se l'artificio è componente essenziale del Rosenkavalier, il direttore ne fa paradigma di contemporaneità: Franz Welser-Most coglie le caratteristiche moderne della monumentale partitura privilegiandole alle trasparenze settecentesche e al gioco di specchi, echi e rimandi. Un direttore che poco rimpiange e molto racconta, cercando la teatralità della vicenda. Straordinaria la pulizia orchestrale dei Wiener Philarmoniker favorita anche dal silenzio religioso del pubblico che gremiva la sala grande.
Il coro della Wiener Staatsoper è stato ben preparato da Ernst Raffelsberger, come anche il coro di voci bianche del Festival da Wolfgang Gotz.

Visto a Salisburgo, Grosses Festspielhaus, l'11 agosto 2014

FRANCESCO RAPACCIONI