Salisburgo, Haus für Mozart, "La nozze di Figaro" di Wolfgang Amadeus Mozart
SCENE DA UN MATRIMONIO
Possono Beaumarchais, Strindberg e Bergman intrecciarsi? Apparentemente no, evidentemente sì a vedere queste emozionanti Nozze di Figaro con la regia di Claus Guth curate nella drammaturgia da Ronny Dietrich, spettacolo che al Salzburger Festspiele ha debuttato nel 2006 per essere ripreso nel 2007 e nel 2009 (ma questa è la prima volta che viene rappresentato contemporaneamente a Don Giovanni e Così fan tutte, sempre con la regia di Claus Guth).
Guth crea un microcosmo di passioni laceranti, amplificate dalla dimensione domestica; si allontana dagli stereotipi senza scivolare in inutili stravolgimenti: gli interessa seguire i personaggi nei loro meccanismi psicologici più profondi, facendo emergere la componente irrazionale, lo smarrimento di fronte all'imprevisto, la difficoltà di gestire le pulsioni che irrompono nella vita quotidiana quando uno meno se l'aspetta. Non è una regia votata all'esistenzialismo, non si dibattono questioni filosofiche legate all'ontologia dell'essere o dell'esistenza: sotto la lente di ingrandimento finiscono comportamenti, abitudini, dinamiche di coppia, familiari e abitative che condizionano la vita e il comportamento degli individui. Non credo che il regista voglia dire che sia il matrimonio a costringere-reprimere le pulsioni sessuali, quanto piuttosto che le convenzioni e la società obblighino a rapporti non sempre afferenti alle pulsioni interiori, non sempre facili da decodificare.
La scena di Christian Schmidt è l'androne di un palazzo del nord Europa con un ampio scalone che sale ai piani superiori, una finestra altissima si apre a sinistra con una tenda bianca assai utilizzata nel corso dell'opera (fin dall'inizio: è il "cappellino vezzoso che Susanna ella stessa si fè"); a destra, sul fondo e nel pianerottolo porte, anch'esse altissime. I costumi, sempre di Chistian Schmidt, situano l'azione nel Novecento, in un momento non lontano dal presente. Fondamentale l'apporto delle luci di Olaf Winter, essenziali nella caratterizzazione dei vari momenti della rappresentazione, luci che illividiscono (come se dal giorno si passasse in un secondo alla notte) quando è presente Cherubim, che può essere avvicinato all'idea che tradizionalmente si ha di Eros. Infatti Cherubim è un mimo vestito similmente a Cherubino con un paio di ali bianche, che dà il via all'azione e condiziona i comportamenti dei protagonisti, ruolo introdotto dal regista. Eros che spinge a un certo comportamento quando invece il personaggio vorrebbe fare altro, Eros che impedisce di compiere un'azione che il personaggio si accinge a compiere. Eros che fa emergere l' Io soffocato dalle istituzioni, dalle convenzioni, dalle false certezze, dagli egoismi, dalla stessa convivenza, Eros che manda i protagonisti in confusione: essi dimenticano, non capiscono dove sono e che stanno facendo.
Il sipario si alza durante l'ouverture sulle scale di cui si diceva: in scena tre coppie, Marcellina e Bartolo di lato, Figaro e Susanna al centro, il Conte e la Contessa sulle scale. Sul pavimento foglie secche, schegge di vetro, piume bianche e un paio di uccelli neri morti. La finestra sulla sinistra si spalanca ed entra Cherubim, che osserva le tre coppie e depone una mela ai piedi di ciascuna di esse, novello Paride che però non deve scegliere. Marcellina va verso Figaro, il Conte si avvicina a Susanna: si esce dall'isolamento della coppia per una contaminazione. Poi la "folle giornata" ha inizio. Figaro scrive in aria come se stesse davanti a una lavagna e misura compiendo gesti nell'aria. Lo scontro tra Susanna e Marcellina si consuma alle spese di Bartolo, al centro delle due donne seduto su una sedia a rotelle. L'aria "Non so più cosa son, cosa faccio" è cantata da Cherubino raddoppiato da Cherubim, entrambi bendati. Il coro di ragazzine in divisa scolastica, invece di spargere fiori, li tira addosso al conte. Figaro era un barbiere e, come tale, taglia barba e capelli a Cherubino cantando "Non più andrai farfallone amoroso" dopo che gli ha messo come grembiule il velo da sposa.
Per il secondo atto la scena è ristretta in una stanza dalle alte pareti chiare. Uno stormo di uccelli neri è bloccato nel momenti di entrare dalla finestra. La Contessa ha il cappotto sulle spalle, più volte lo lascia cadere e Susanna lo raccoglie e glielo rimette. Foglie secche accartocciate sono ammucchiate negli angoli, la luce entra dalla finestra e traccia lunghe strisce crepuscolari sul parquet. Il terzetto Susanna-Contessa-Cherubino le vede sedute a terra, fiaccate, intristite, come l'ombra di quell'uccello nero che si materializza sul muro alle loro spalle. "Voi che sapete" viene cantato alla presenza di Cherubim che muove i tre al suo volere: Cherubino bacia Susanna e poi la Contessa, che subito torna in sé: "Quante buffonerie!". Il conte è represso, inferocito, si sfoga con Cherubino e quasi lo sevizia, prima di mettergli la giacca militare al contrario come una camicia di forza.
L'ironia non è assente e si affaccia, divenendo a tratti divertimento puro, come all'ingresso del Conte con l'ascia in mano per aprire l'armadio, oppure subito dopo, quando Susanna li sorprende avvinghiati sul pavimento. Il finale dell'atto secondo è, a nostro avviso, rivelatore della regia: i personaggi sono tutti in scena, Cherubim traccia sul muro i loro nomi e fa tutti gli abbinamenti possibili con frecce e cerchi, finendo in una grande confusione per le continue cancellature e le troppe possibilità.
Per il terzo atto la scena è come nel primo, c'è in più una rampa di scale che si intuisce scendere dal piano terra nel seminterrato; la grande finestra a sinistra ha i vetri rotti, le schegge a terra riflettono la luce. La ringhiera delle scale e la tenda alla finestra, come gli angoli dell'androne, consentono ad alcuni personaggi di assistere non visti, aumentando il senso di claustrofobia e vizio della vita forzatamente comunitaria. Il Conte canta "Vedrò mentr'io sospiro" con Cherubim pericolosamente in bilico sopra le spalle, una gamba davanti, una gamba dietro, poi a terra, trascinato dallo stesso Eros alato. Struggente "Dove sono i bei momenti": tutti se ne vanno di sotto rumorosamente, pochi secondi di silenzio e la Contessa attacca il recitativo in totale solitudine per poi eseguire l'aria sulle scale con in mano l'abito da sposa. Durante la cerimonia nuziale il Conte è furioso: geniale che la musica della danza del matrimonio sia utilizzata da Guth per tenere in scena solo il Conte e la Contessa impegnati in un "confronto finale".
Nel quarto atto la scena è surrealmente raddoppiata nella rampa di scale e, per il giardino, vengono proiettate ombre frondose (i video sono di Andi A. Müller). Motivo conduttore dell'atto è che tutti, ripetutamente, si buttano di sotto attraverso la scala che scende. Nel finale il Conte è divenuto quasi indifferente a ciò che succede intorno, come a chiedersi "Che ci faccio io qui?"
Simon Keenlyside è un Conte Almaviva con tic e l'ossessione di asciugarsi il viso col fazzoletto, come fosse perennemente in preda al fuoco della passione, sepolta sotto il cappotto sempre allacciato; vocalmente Keenlyside è di bravura superba: pare italiano di madrelingua nella dizione, plasma con accenti di sbalorditiva finezza un Conte problematico e per questo debole, non protervo, anzi indifeso, che suscita tenerezza; sfoggia una sontuosità di legato che raramente si sente; il suo "Contessa, perdono" nel finale è di bellezza e perfezione irraggiungibili. Genia Kühmeier ha vocalità e fisicità giuste per la Contessa Almaviva, salda e sicura nella proiezione e nel controllo del suono, strepitosamente espressiva nel "Dove sono i bei momenti" cantata con una ricchezza timbrica esaltata dai tempi allargati (il pubblico, dopo l'aria, le ha tributato un trionfo personale con applausi interminabili). Erwin Schrott è un Figaro "ingessato", rigido, una specie di portiere del palazzo compassato e distante, con grandi occhiali da vista; attorialmente Schrott regala una prova d'attore di primaria importanza, così lontana da altri ruoli interpretati anche recentemente in modo pure convincente; la voce è di colore splendido, morbidissima ed estesa, compatta nei medi, screziata nel grave e pronta all'acuto; la cura nei recitativi è massima, al punto che molte battute paiono pronunciate da un attore di prosa anziché da un cantante. Marlis Petersen è Susanna, partner ideale di tale Figaro: molto bella e disinvolta in scena, ineccepibile vocalmente per rendere con malizia (e non solo) il ruolo. Katija Dragojevic è un Cherubino vestito alla marinara con una divisa scolastica d'epoca, che ben riflette i turbamenti adolescenziali aumentati dalle esigenze drammaturgiche di questa rappresentazione; il registro grave, corposo e ben sostenuto, ben restituisce le ombre e le ambiguità della parte.
Marie McLaughlin è una vivace Marcellina, badante del Bartolo che Franz-Josef Selig interpreta sulla sedia a rotelle e con un vistoso riporto sul cranio pelato. Perfetti i ruoli di contorno, anche nella dizione (un plauso a Muriel Corradini): Patrick Henckens (Basilio), Marlin Christensson (Barbarina), Oliver Ringelhahn (un Don Curzio cieco), Adam Plachetka (Antonio, che sparge ovunque manciate di terra e sporca i muri con le mani luride). Seppure il ruolo non è cantato, essenziale nell'economia dello spettacolo è la presenza di Uli Kirsch, dal volto perfetto di marmorea levigatezza, straordinariamente bravo come Cherubim, il fulcro della vicenda, una specie di "Eros ex machina" la cui presenza è già rivelata dal cambio delle luci ma soprattutto dai gesti dei protagonisti in modo allusivo e sottile, ambiguo.
Robin Ticciati dirige l'Orchestra of the Age of Enlightenment con tempi serrati e grande attenzione al canto; curati sono gli impasti timbrici ed il suono orchestrale è ottimale, trasparente e nitido nel crepitare degli strumenti antichi, leggero ma con screziature che rimandano alle profondità dei sentimenti; grande è l'attenzione alle finezze strumentali che riescono ad assecondare i dettagli e le sfumature della regia. Bravo Stefan Gottfried al cembalo, il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor è stato preparato da Jörn H. Andersen.
Teatro esaurito, grande successo: il pubblico, rapito dalla storia e dai particolari della messa in scena, ha tributato un trionfo a tutti gli interpreti, dimostrando così di avere apprezzato e compreso una regia che dimostra che felicità e infelicità, appagamento e delusione inseguono sempre un desiderio interrotto e inappagato.
Visto a Salisburgo, Haus für Mozart, il 30 luglio 2011
FRANCESCO RAPACCIONI