Teatro

Salisburgo, Norma

Salisburgo, Norma

Cecilia Bartoli alle prese con uno dei ruoli più famosi e temibili della lirica: sfida vinta ma l'opera sembra un'altra. Splendidi lo spettacolo di Leiser e Caurier, la direzione di Antonini e i cantanti tutti: manca però il peso drammatico nella parte vocale e musicale.

Salisburgo, Haus für Mozart, “Norma” di Vincenzo Bellini

NORMA DURANTE LA RESISTENZA

Ambientata a Parigi tra la fine degli anni Trenta e gli anni Quaranta del Novecento, la Norma di Moshe Leiser e Patrice Caurier è cucita addosso a Cecilia Bartoli anche grazie alla drammaturgia di Konrad Kuhn.

Durante il prologo, l'antefatto spiega il luogo e il tempo (scene di Christian Fenouillat e costumi di Agostino Cavalca, splendidi): siamo in una scuola, nell'atrio che immette nelle aule e che si affaccia sul giardino; suona la campanella e un gruppo di ragazzi irrompe dal cortile, lascia i cappotti sugli appendini ed entra in aula accompagnato dall'insegnante. Poi arrivano militari armati al comando di un ufficiale in borghese (Pollione) che rimane colpito dalla bellezza della segretaria (Norma) e le fa il baciamano. Inizia la guerra e la scuola, non più utilizzata, diviene la sede di un gruppo della resistenza guidato dal padre della segretaria (Oroveso). Da qui si dipana la storia di Bellini, non tutto è in linea con il libretto ma la narrazione ha una sua coerenza interna e funziona alla perfezione anche con la musica, fino allo strepitoso finale con l'incendio appiccato alla scuola con Norma e Pollione chiusi dentro. Pollione e i Romani sono gli occupanti stranieri, i Druidi e i Galli sono gli uomini della resistenza francese.

La regia abilmente rende credibile la storia nella nuova ambientazione e nelle scene ambientate nella casa di Norma, quando un velatino nero scende a diminuire la profondità del palco, su cui si evidenziano le ombre che ingigantiscono i gesti e le presenze, ricordando la tragedia classica e Anna Magnani. Le scene corali sono di grande forza e davvero esprimono il senso di ribellione dei patrioti contro l'occupante straniero. Le scene a due, invece, mostrano affiatamento tra i protagonisti e cura registica rilevantissima, ponendosi come duelli di sentimenti e di sguardi, resi tangibili da gesti calibrati e vibranti, specchio di tumulti interiori. Il resto è di grande presa sul pubblico per la capacità di attrarre l'attenzione senza alcun calo dinamico.

A tale forza drammaturgica non ha corrisposto altrettanto peso musicale. Giovanni Antonini guida l'Orchestra La Scintilla in versione ridotta e con strumenti d'epoca: il suono è affascinante ma pare altra partitura rispetto a quella di Bellini. Pur convenendo sulla ipotizzabile maggiore aderenza all'originale, la forza drammatica risulta diminuita. Da ribadire la prestazione sia del direttore che dell'orchestra, entrambi ottimi. In tal senso ci è parso interessante il saggio di Cecilia Bartoli nel programma di sala sulle voci e sugli strumenti dell'epoca e sull'ascolto contemporaneo.

Cecilia Bartoli domina la scena e affronta la partitura a suo modo: che la si adori o il contrario, la cantante innerva ogni ruolo di grande forza; la sua Norma è misurata e impaurita nel prologo, innamorata e seducente nel primo atto, erinnica e vendicativa nel secondo, senza trascurare i sentimenti di madre e di moglie; la voce si piega a ogni esigenza e trilla nelle agilità qui rese in modo quasi barocco; manca però il peso drammatico al ruolo della sacerdotessa nel racconto di una disperazione senza eguali che qui, nella voce e nella musica, non c'è pienamente; resta un Casta diva bellissimo, di solenne e ieratica lentezza. Al suo fianco propone una grande prova John Osborn, il cui Pollione ha acuti pieni e luminosi, registro medio corposo e strutturato, registro grave brunito e potente; la musicalità della voce si accompagna a una cura encomiabile della tornitura del verso con una pronunzia pressochè perfetta. Michele Pertusi è un Oroveso convincente più come padre che come capo carismatico della resistenza, presenza fisica imponente e voce sontuosa. Piccola ma ben intonata la voce di Rebeca Olvera, la cui bella figura connota in senso sopranile Adalgisa che però risulta debole e lamentosa nel contesto. A completare adeguatamente il cast la Clotilde di Liliana Nikiteanu (insegnante nella scuola), il Flavio di Reinaldo Macias drammaticamente ucciso e il Coro della Radiotelevisione svizzera ben preparato da Gianluca Capuano.

Visto a Salisburgo il 6 agosto 2015