Un agone nel quale dovrebbe tenersi un comico e crudele gioco al massacro, ma che resta privo di tensione drammatica.
Di chi è il terrazzo sul quale, in una afosa serata estiva, si riuniscono un cinico e truffaldino albergatore, un avvocato corrotto fino al midollo, un azzimato e servile notaio, un pomposo e ipocrita professore di liceo, la moglie di un imprenditore che ha costruito la sua fortuna dislocando le proprie fabbriche in Cina, infine un perdigiorno mammone con machiavelliche velleità? Si tratta in realtà di un vero e proprio ring, un agone nel quale dovrebbe tenersi un comico e crudele gioco al massacro, una grottesca mise-en-scène dell’abiezione di una classe sociale dai contorni sempre più incerti e sfumati.
Ciascuno dei personaggi a cui si è fatto cenno, difatti, è proprietario di un attico in un lussuoso caseggiato urbano e ognuno di essi ha impunemente commesso un abuso edilizio trasformando terrazze condominiali in vere e proprie proprietà private con tanto di interdizione agli estranei, vale a dire gli altri condomini, nonché al portiere di uno degli stabili, il quale “umilmente” ha fatto richiesta di poter accedere ad una delle terrazze per festeggiare il compleanno della figlia malata. Questa la trama di Millesimi, lo spettacolo di Marco Mario de Notaris: un plot senz’altro accattivante per una commedia dagli intenti satirici, che a conti fatti, però, più che luciferina e al vetriolo risulta essere semplicistica e banale nell’intento polemico e da educande per quanto concerne lo svolgersi dell’intrigo. Dipingere delle creature moralmente mostruose, tanto mostruose da risultare tragicamente farsesche non è cosa facile: senza un adeguato spessore drammatico anche il personaggio più biecamente comico risulta alla fine scipito e stucchevole. Il fatto che il pubblico tutto, o una buona parte di esso, si sbellichi dalle risate durante uno spettacolo non è necessariamente da ascrivere alla qualità di quest’ultimo, bensì alle sorprendenti capacità “masticatorie” degli spettatori, i quali, il più delle volte con le macchiette e le spruzzatine dialettali nei luoghi e nei momenti giusti ci vanno a nozze.
In Millesimi non c’è tensione drammatica, di nessun tipo. Gli attori fanno il loro dovere, ma senza affaticarsi troppo, buona parte del lavoro del resto lo fa la “maschera”, il “tipo” (un coacervo di clichés gestuali e discorsivi) cucitogli addosso dall’autore/regista. Lo spettacolo si muove stancamente attraverso squallide recriminazioni, ridicole macchinazioni ricattatorie e surreali giustificazioni etiche all’illegalità edilizia, ma tutto senza crudeltà, senza unghie e sangue, quando alla fine qualcuno ci rimette le penne la cosa può anche lasciare indifferenti.