Teatro

'Senso', ovvero la libertà d'amore ai tempi della Scapigliatura.

'Senso', ovvero la libertà d'amore ai tempi della Scapigliatura.

Il termine "Scapigliatura" si deve a Clelio Arrighi (pseudonimo per anagramma di Carlo Righetti) che nel 1862, pubblicò un romanzo intitolato “La Scapigliatura e il 6 febbraio. Un dramma di famiglia” dedicato a una rivolta mazziniana avvenuta a Milano nel 1853. In essa i giovani tra i 20 e i 35 anni si ribellavano contro tutti gli ordini prestabiliti. Arrighi tradusse il termine francese "bohème" (che indicava la vita irregolare, zingaresca e anticonformista di artisti poveri e misconosciuti)  e esso finì per definire quella corrente letteraria fiorita in Italia tra il 1860 e il 1880, in piena epoca risorgimentale, all'incrocio tra Romanticismo e Verismo che propugnava la ribellione.
La “Scapigliatura” fu composta da un gruppo da scrittori lombardi e piemontesi o in genere settentrionali, che ebbero a Milano il loro luogo d'incontro. Furono legati  da amicizia e da somiglianza di vita e di costume e, sopratutto da una comune avversione al tardo romanticismo manzoniano e dall'intenzione di fare oggetto della poesia il vero, sia quello della natura e della società, sia quello dei sentimenti.
Tra gli esponenti della corrente c’erano Iginio Ugo Tarchetti, i fratelli Arrigo e Camillo Boito (quest’ultimo autore di “Senso”, una novella-monologo sotto forma diaristica – e quindi ha operato una ribellione anche nel campo formale dei generi letterari), Emilio Praga, … C’è da dire che il movimento non è nato da solo, ma è andato di pari passo con i cambiamenti della società europea. Siamo, infatti, in un’epoca che una visto la caduta dell’aureola dell’artista in seguito al fatto che questi ha visto il decadere dei tradizionali privilegi che lo elevavano al di sopra della folla. Il periodo è la fine dell’800. Si tratta di un’epoca che ha visto la nascita dell’industrializzazione, delle metropoli e delle comunicazioni di massa. Lo scrittore vive dei propri proventi, come qualsiasi altro lavoratore, e non è più mantenuto da un mecenate o da un Re. “Perdita dell’aureola” è anche un poemetto scritto da Baudelaire nel 1869, in cui il poeta, nella frenetica vita parigina, ha perduto l’aureola, che gli è caduta nel fango, e racconta l’avvenimento ad un amico che incontra casualmente in un bordello. Si crea, quindi un parallelo, che diverrà tipico dell’epoca, tra la figura del poeta e quella della prostituta perché entrambi vendono ciò che non dovrebbe essere venduto: la donna vende l’amore, lo scrittore vende l’arte. L’autore, nell’epoca moderna, si ritrova nell’anonimato, tra la folla. E questo viene considerato qualificante, in quanto è la consapevolezza della perdita dell’aureola che lo elevava al di sopra degli altri che determina la modernità e la qualità della poesia: invece, chi avrebbe raccolto l’aureola dalla pozzanghera non sarebbe potuto essere che un poeta arretrato e quindi di bassa qualità.

In tutto questo cambiamento si inserisce il racconto "Dallo scartafascio segreto della contessa Livia”, comunemente conosciuto come “Senso”. Questo capolavoro della corrente scapigliata è la novella che chiude la seconda raccolta pubblicata da Camillo Boito (1836 – 1914, fu architetto e scrittore – anche nel fatto di svolgere due professioni che gli fruttavano entrambi dei proventi lavorativi si riconosceva un ribelle “scapigliato”), dal titolo "Senso. Nuove storielle vane" (1883) ed è senza dubbio il racconto dell’epoca che ha avuto maggior fortuna, grazie anche alla celebre trasposizione cinematografica che ne fece Luchino Visconti nel 1954 (ma qualcuno lo rintraccerà anche in "Senso 45" di Tinto Brass,2002, regista sicuramente di un genere cinematografico piuttosto particolare, ma che non si lascia sfuggire i capolavori della letteratura).

Ieri sera, il racconto di Boito è stato letto (per la stagione TSA) di fronte al folto ed attento pubblico accorso all'Auditorium della Guardia di Finanza di L'Aquila, dalla voce limpida di Monica Guerritore, la quale, accompagnata dal pianista Antonio Ballista, si è prodotta in un recital dal titolo "Senso. Avevo sposato il mare... avevo bisogno di amare".
"Senso" non racconta semplicemente la storia di un amore crudele (prima a causa del destino che ha voluto che lei fosse già sposata con un uomo che non amava, poi per le pretese-offese da parte dell’amante, infine per la vendetta da parte della protagonista), ma narra, sottoforma di diario, la storia della passione d’amore che ha divorato la contessa Livia Serpieri per il tenente austriaco Remigio Ruz, un uomo tanto bello, quanto crudele, che scambiava il suo fascino, con i soldi della donna.
Il sottotitolo che la Guerritore ha dato alla sua interpretazione è tratto da un’affermazione del diario-monologo ed è significativo: "Avevo sposato il mare.. avevo bisogno di amare". Infatti Livia aveva sposato, da giovane un uomo che poteva essere suo nonno e che la riempiva di gioielli. Di lui la novella di Boito non racconta quasi niente (se non che fumava, russava, diceva male del Piemonte e comperava cosmetici). Infatti non è negli interessi dell'autore raccontare questo particolare personaggio. Quello che interessa a Boito è l'amore devastante, passionale, liberatorio. Quello che ha sottolineato il sottotitolo datogli la Guerritore è il fatto che è come se la contessa Livia avesse sposato non un uomo, ma l'amore. Tale matrimonio è avvenuto in maniera simbolica: Livia, un giorno ha gettato nelle acque di un canale di Venezia (dove era andata a vivere dopo il matrimonio), un anello con diamante che le aveva regalato il marito, ripetendo lo stesso gesto che facevano i Dogi veneziani il giorno della loro elezione, nel famoso matrimonio col mare.
Un’altra caratteristica della scrittura di Camillo Boito sta anche nel fatto che unisce macabro e orrido, come ad esempio la vista da parte della contessa Livia dell'uccisione di Remigio, dopo che era stata ella stessa a denunciarlo per aver prodotto un certificato medico falso (pagato con dei soldi chiesti alla contessa come forma d'amore) per farsi dispensare dal lavoro e trascorrere il suo tempo con le donne (a insaputa dell'innamorata contessa che, invece, lo scopre a dileggiarla con un’altra donna). Ne esce quasi un'analisi ironica e umoristica dell'animo umano, quell'animo che segue il cuore più che la ragione, per poi tornare a quest'ultima solo dopo aver vissuto l'esperienza dolorosa.

Certo è che tra le caratteristiche della corrente della Scapigliatura e che si ritrovano bene anche in "Senso", è, quindi, la ribellione (più o meno giovanile... la contessa Livia Serpieri ha 39 anni) che si traduce in forme di vita più o meno sregolata e "maledetta" (anche se ancora non arriva a quegli estremi dati dal naturalismo di Zola). Altro elemento che vi si può rintracciare è la protesta anti-borghese e, quindi, anti-conformista. La contessa Livia parla della sua storia di adulterio (prima con Remigio, poi introduce quella con Gino), ma non nomina mai il marito (cioè il conformismo): chi era? Cosa faceva? Sospettava delle relazioni della moglie? Ricordiamo che l'epoca in cui è stato scritto "Senso - Dallo scartafascio segreto della contessa Livia" è il 1883 e si presume che sia ambientato nel 1867, infatti nel suo racconto la contessa Livia riferisce fatti accaduti 16 anni prima del momento in cui scrive il suo diario. Si tratta comunque dell'epoca risorgimentale. Epoca di guerre e rivoluzioni. E, nel contempo della nascita dell'industrializzazione, delle metropoli, dominate dai banchieri e dai commercianti e dalle comunicazioni di massa. Un'epoca, quindi, di insicurezze, dove tutto (di conseguenza) era un "nemico". Il fascino della libertà, in realtà produce differenze sociali, più bisogni, più lavoro, ma anche più paure. Gli Scapigliati rifiutano tutto ciò e mettono in mostra la loro ribellione. Nella novella di Boito, di certo, non sono elencati i cambianti culturali, non si parla della bicicletta, del treno o della metropolitana. Neanche la fotografia è ancora presente (si parla ancora dei ritratti della contessa Livia). Quello che è presente sono le ansie dettate dalla libertà che si voleva acquisire e dalle potenzialità che la tecnica stava acquisendo. Nel caso di “Senso”, il tema trattato è la passione amorosa. Livia vive una libertà passionale che la fa soffrire. E’ ben diversa dalla modesta Lucia Mondella del Manzoni ("I Promessi sposi" sono stati scritti quarant'anni prima della novella di Boito) che mantiene il suo amore anche sotto le condizioni avverse, subendole.  E' diversa pure dall'ideale della donna al focolare tramandata dal vittorianesimo inglese. In Boito, e nella Scapigliatura in genere, c'è un preciso rifiuto della tradizione, rappresentata per loro sopratutto da Manzoni. Si rifanno a Baudelaire, da cui gli Scapigliati desumono i temi del peccato, della caducità, della morte nascosta nel corpo femminile e nella degradazione della vita moderna. In particolare, per Boito (oltre a parlare dell’adulterio e del dolore che prova Livia per mantenere la relazione con Remigio e poi la fine della stessa relazione) si può trovare una pietra di paragone in E. A. Poe, che è il padre del romanzo horror e giallo psicologico (che in Italia non ha mai attecchito realmente - questo è, forse, un motivo per cui Boito e gli scapigliati, non lo consideravano "tradizione" al pari degli altri autori vissuti una generazione prima di lui) ed  è vicino anche a Laurence Sterne, scrittore inglese del '700 che aveva scardinato il romanzo realista dell'epoca, attraverso l'umorismo o la dissacrazione più realistica. Basti guardare il comportamento degli ufficiali dell'esercito austriaco. Quando Remigio spilla dei soldi a Livia, oppure quando ella, dopo averlo raggiunto a Verona averlo sorpreso con una donna a ridere di lei, si reca in una bottega da caffè dove alcuni militari dopo aver parlato male di lei, senza riconoscerla, la infastidiscono; oppure quando un ufficiale boemo le sputa in faccia per aver denunciato e fatto fucilare un sul collega (cioè Remigio).
La ribellione si nota anche ad un altro livello. Quando, cioè, Remigio si fa dichiarare malato ad una gamba per non lavorare.
Mi domando infine, se la scelta di ambientare la novella in territorio veneziano (oltre che veronese e trentino) sia stata casuale da parte di Camillo Boito. Infatti Remigio combatte nell’esercito austriaco. La lotta è una ribellione. L’anno, come dicevo più su, è il 1867 e siamo in pieno periodo di lotte di ribellione per formare l’Italia unita.
C’è poi da dire che Venezia non aveva mai sopportato di essere diventata territorio austriaco dopo il trattato di Campoformio del 1797 quando Napoleone l’aveva ceduta all’Austria. E nel periodo tra l’annessione all’Austria e quella all’Italia aveva sempre sentito un fremito di ribellione nei confronti del governo austriaco.