Dopo l'apertura con L'inedito - Shakespeare Impro il 3 luglio a Capriglia (SA), debutta anche a Napoli la seconda edizione di Improteatro Festival, la rassegna di teatro improvvisato promossa dall'associazione nazionale Improteatro, e lo fa con un'altra opera originale, stavolta ispirata alle favole nere di Tim Burton, intitolata Inedito - Singing in the dark ed andata in scena alla Mostra d'Oltremare domenica 6 luglio.
Il format di questa dark tale, fra le molteplici possibilità offerte alla creatività del teatro d'improvvisazione, si affida ad un'interazione con il pubblico basata meno sulla frequenza, e più sulla significatività e la persistenza dell'ispirazione: piuttosto che rapidi mutamenti e sorprese subitanee eterodirette secondo le voci o gli scritti che si raccolgono in sala, Singing in the dark si costruisce intorno a sei spunti chiesti al pubblico durante lo svolgimento dello spettacolo, attorno ai quali tutto ruota interamente, con tracce che rimarranno tali fino all'ultima nota o parola, poiché ogni movimento, plot, azione e suono non perdono mai l'abbrivio costruito con i segnali creati all'istante dagli spettatori, a partire dal primo che fornisce la prima e fondamentale ambientazione: una discarica.
Su cumuli di rifiuti immaginari dunque, gli otto protagonisti di Improteatro (Deborah Fedrigucci, Lara Mottola, Mariadele Attanasio, Renato Preziuso, Roberto Garelli, Susanna Cantelmo, Tiziano Storti in scena, Marco Biondi improvvisatore al pianoforte), guidati per l'occasione dal trainer inglese Sean Mc Cann (insegnante alla Oxford School Of Drama, alla London Film School ed alla Royal Academy of Music) avviano una storia che ha la capacità di orientarsi senza esitazioni verso derive talvolta dense di tenebra ed ironia noir, talaltra indulgenti all'umana ricerca del cuore, sia esso materiale o simbolico, da trovare nel cioccolato di cui si sostanzia una delle creature o in resti umani da ricomporre, giungendo così anche a sintetizzare in maniera efficace la poetica, esplicitamente invocata, di Tim Burton.
In oltre un'ora di improvvisazione nella quale trovano spazio molte e diverse azioni, singole e di gruppo, recitative e corali (formidabile fra queste ultime la riproposizione di un contest rap di gruppo), oltre che di diversa intensità emotiva, lo sguardo si ferma soprattutto ad osservare i momenti in cui si legano le parti fra loro, quelle che fino ad un attimo prima non esistevano e che si materializzano disegnandosi da sole su un copione immaginario, quegli istanti impercettibili in cui un attore cerca la conferma negli occhi dell'altro prima di pronunciare una parola o cantare una rima insieme, ed anzi suggerendo mentalmente l'accordo; messi insieme questi dettagli, la forma d'arte scenica dell'improvvisazione assume aspetti che se mantenuti ad un livello così elevato, quando se ne ricerca un denominatore comune per lo spettatore, esso non può che essere la sorpresa per un ritmo che rimane sempre notevole, proprio come se quel copione esistesse davvero, avvolto questa volta nel blu scuro e nelle grigie nebbie di un fosco gotico che si trasforma in divertente e sovvertito spazio della fantasia.