Dopo avere vinto il premio per la miglior regia al Roma Fringe Festival del 2012 Chiara Murru torna al Fringe con Elementos, prodotto da Spazio-T, ideato e diretto da Chiara Murru, un nuovo spettacolo site specific nel quale rilegge il mitologema dei Mamuthones di Mamojada (Nuoro) proponendone una intelligente e personale rivisitazione.
Ispirata nella drammaturgia dal romanzo di Sergio Atzeni Passavamo sulla terra leggeri (pubblicato postumo nel 1996, per i tipi della Ilisso), nel quale lo scrittore e giornalista sardo rievoca, romanzandola, la storia della Sardegna, Murru fa sue le istanze del romanzo che si muove tra storia e mito, tra invenzione e necessità di ri-raccontare le proprie origini, trasfigurandole in un racconto nel quale invita il pubblico più che ad ascoltare, o a guardare, con un occhio sensibile al pittoresco o all'esotico, a fare esperienza di alcune delle tradizioni e della cultura della sua terra d'origine tramite un impianto performativo del tutto inedito e nuovo.
Elemento centrale col quale Murru appronta un sincretismo culturale che trasfonde il folclore sardo nella contemporaneità del teatro sperimentale sono i Mamuthones splendidamente realizzate da Franco Sale, uno dei più conosciuti artigiani mascherai Murru estrapola le maschere nere, di legno, tradizionali del carnevale di Mamojada, dal contesto iconico tradizionale, che le vede indossate da uomini, corredate da un fazzoletto di foggia femminile, e le fa calzare a tre perfomer, due donne e un uomo, senza le pelli e i campanacci dell'iconografia carnevalesca, su un costume sobrio (pantalone nero dal cavallo abbassato e gamba larga, una maglia aderente, una calotta di stoffa a nascondere i capelli) facendo emergere la maschera in tutta la sua bellezza con un impatto visivo e una attenzione di ricontestualizzazione che ricorda quella del cubismo per le maschere africane.
Lo spettacolo non inizia in platea ma nel viale prospiciente il palco dove un narratore cerimoniere (Maurizio Pulina) racconta della vita negli antichi villaggi quando i contadini, i condottieri e lo stesso re si rivolgevano al sacerdote per conoscere l'esito del raccolto, di una compravendita di animali, di una battaglia o di una guerra.
Domande semplici e vitali alcune delle quali sono lette da alcuni spettatori e spettatrici
che hanno ricevuto un foglietto numerato chiamato poi dal sacerdote.
Di nero vestito, con un gilet aperto sopra il torso nudo, indossando lo stesso pantalone a vita
bassa, il cerimoniere smette improvvisamente di parlare e lascia parlare i mamuthones che giungono sul viale a suon di musica, con una camminata cerimoniale che è al tempo stesso una danza, superando il pubblico e il cerimoniere e inoltrandosi tra gli alberi del viale verso il palco.
Il pubblico, senza che nulla gli venga detto, segue i tre mamuthones mantenendosi a distanza reverenziale. Qualcuno più ardito si avvicina di più mentre le tre maschere sono già in platea dove le sedie sono state disposte in due schiere che si fronteggiano, perpendicolari al palco. Di fonte al
palco, dall'altra parte delle sedute per il pubblico, trova spazio il leggio dal quale il cerimoniere racconta una storia di emancipazione dal giogo prepotente di re che pretendono di essere divinità ma non sono
immuni dal veleno dell'erba rossa...
A questo racconto si alternano i movimenti scenici delle performer (Chiara Murru e Annagiulia Meloni) e del perfomer (Samuel Puggioni) che animano le maschere mosse da un fremito al contempo animale e divino, misterioso e numinoso, presenze esotiche e anche erotiche, nel linguaggio del corpo sinuoso e seducente, in una commistione e sovrapposizione di emozioni sostenute e amplificate anche da una partitura musicale composita (diFrantziscu Meda Arrogalla e Gavino Murgia), che vede accanto ad alcuni canti tradizionali rielaborazioni in chiave contemporanea di melodie e armonie del folclore sardo, cui il pubblico si lascia andare mentre il vino vermentino servito dal cerimoniere ingentilisce gli animi.
La maschera diventa il correlativo oggettivo di una ricerca che si muove su più ambiti tra storia e performance, nel solco di un preciso percorso estetico che impiega in veste nuova e autonoma la potenza evocatrice del Mamuthones facendo loro prendere vita come spinte da un'atavica forza ancestrale che le fa interagire con il pubblico scardinando ogni legge del teatro borghese.
Le due perfomer e il performer infatti non si limitano a eseguire movimenti complessi a cavallo tra la coreografia e il cerimoniale carnascialesco, ma si muovono tra le fila del pubblico, come animali (o
alieni?) che osservano da vicino quelle strane persone sedute lì a guardare loro, in un elegante capovolgimento di prospettiva dove non è il pubblico a guardare i mamuthones quanto i mamuthones a guardare il pubblico.
Elementos si pone così al crocevia di diversi dispositivi simbolici, dal racconto come fattore collante di una comunità, alla cerimonia apotropaica, trovandovi una radice comune nella rappresentazione teatrale qui davvero vista nella sua essenza di ludica rielaborazione collettiva di una comune esperienza antropologica dell'esistenza umana in una sinergia tra cultura etnologia e arti performative di impeccabile eleganza e sincretismo, costituendo uno dei momenti più alti dell'intero Festival, uno spettacolo fuori dalle logiche da festival, intellettualmente onesto e indimenticabile, che il pubblico tutto porterà nel cuore per tanto tanto tempo.