Sperimentazione tecnica, implementazione di saperi, impegno ambientale: contaminazioni che fanno di Per oggi non si cade un esperimento che attraversa piani narrativi e scenografici, costruendo una mise en place apparecchiata fra sale, corridoi e giardini dell'Accademia di Belle Arti, e costruita con un procedimento dagli effetti sorprendenti come il sound design e le registrazioni olofoniche di Hubert Westkemper, che letteralmente immergono l'ascoltatore in un ambiente autentico, stante la provenienza pluridirezionale di ciascun suono, voce, allucco, o effetto che sia.
L'omonimo racconto di Manlio Santanelli fu scritto, possiamo dire, con la munnezza che bussava alla porta, alla vigilia della peggiore fase dell'emergenza-rifiuti in Campania, ed infatti l'ispirazione (affidata con buon risultato alla voce narrante di Mario Tozzi, che ben si destreggia anche fra locuzioni napoletane) si affida all'idea di un sacchetto dell'immondizia che, gettato da una popolana giù dal balcone in vico Purgatorio ad arco, e pertanto assurto a simbolo stesso del malcostume, anziché cadere, resta sospeso a mezz'aria, come sostenuto da un refolo di vento che non c'è; dietro l'episodio, si cela la volontà divina di sospendere per 24 ore la forza della gravità sull'intera città. Anzi no, non proprio tutta: tranne che su Scampia, “che già sta male combinata”.
La polifonia della città di Napoli si dipana nella regia di Fabio Cocifoglia fra ambienti apparentemente “antiteatrali” ed accademici, e si esprime con voci prevalentemente femminili, come è Napoli stessa secondo Santanelli, fra mamme che chiamano figli che non tornano a casa, e personalità di donne che sfondano la vita e partecipano attivamente alla socialità del vicolo. Un capasottamento che coinvolge però anche i bassi istinti del popolo, che per 24 ore si lascia andare a comportamenti che oggi definiremmo “scorretti”, in spregio alla convivenza civile, e che trova afflati poetici quando sonda la quiete della notte che cala su un popolo che non sa interrogarsi sul futuro, trovando perfino il modo di evocare un Finale di partita...
Il modello della fruizione individuale dello spettacolo (ciascuno spettatore può entrare anche da solo, con un'audioguida per seguire il percorso) fa risalire ad illustri pionieri come l'itinerante Orlando Furioso di Ronconi che ci ha insegnato a passeggiare all'interno di una scena, ed il valore aggiunto dell'operazione, peraltro allestita in pochi mesi e quindi evidentemente migliorabile sotto il profilo tecnico e della legatura dell'insieme e delle sue parti, talora ancora poco integrate, è l'essersi giovato del lavoro degli studenti di Scenografia e Fotografia (presenti anche dal vivo), le cui opere e suggestioni puntellano il percorso, con disegni, sospensioni ed immagini che richiamano temi come la leggerezza e parlano di entusiasmo nel partecipare alla creazione delle installazioni.
Allo scadere delle 24 ore, quando tutto riacquista peso, la catartica distruzione causata dal crollo di tutto ciò che è stato frutto del malcostume sommerge persone e coscienze, ed anche se si suggerisce un immanente the show must go on, il cerchio si chiude nelle prime parole del racconto: “riflettere sulle cause delle tragedie passate per non ripeterle”, anche se lo sguardo ripetuto e costante dell'autore sulla ignavia di chi dovrebbe reagire, a partire dalle figure borghesi affacciate solo sul proprio orticello (“E intanto il notaio Manes sempre là, che non fa una piega”) resta come la firma di un autore mai banale, a specchiare la realtà.